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Contro l’antropocentrismo della sinistra libertaria. Verso un anarchismo antispecista [ITA/ENG]

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Glossario                               

Antropocentrismo (o umanocentrismo)              Credenza secondo cui la specie umana abbia un ruolo centrale nell’Universo e che vede le altre specie e gli ecosistemi in una posizione subalterna. L’antropocentrismo vede l’ecosistema e chi ne fa parte come utilizzabile per raggiungere obiettivi che soddisfino i bisogni e i desideri del solo animale umano, con noncuranza delle conseguenze sulla vita degli altri animali e del loro ambiente.

Specismo                                                        Radicato in un pensiero antropocentrico, lo specismo si basa sulla convinzione che gli umani godano di un’importanza superiore a quella degli altri animali, fondando questo giudizio su abilità e/o identità standardizzate dalla specie umana stessa allo scopo di giustificare il loro sfruttamento e trasformarli in prodotti alimentari, cavie da laboratorio, oggetti per intrattenimento e/o compagnia, e così via. A questo pensiero si contrappone l’antispecismo, che considera tutte le specie animali come importanti in egual modo.

Veganismo                                                                 In termini semplici e pratici, il veganismo è una pratica per astenersi, dove possibile e praticabile, dal consumo di prodotti animali o da attività che coinvolgano il loro sfruttamento (alimentazione, vestiario, circhi, zoo, sperimentazione, e altro). Spesso ridotto ad una dieta, il veganismo perde il suo potere eversivo e viene visto come semplice alimentazione alternativa. Quando invece, nel migliore dei casi, il veganismo sorpassa l’idea che questo sia una dieta, viene visto come atto di boicottaggio, rimanendo di fatto incastrato in una logica consumista. Tuttavia, il veganismo fa parte di un’analisi politica più profonda e critica all’antropocentrismo e che, come vedremo più avanti, sovverte e mette in discussione le strutture oppressive della nostra società, sia interne alla specie umana che al di fuori di essa.

Anarchismo                                                            L’anarchismo è un percorso e un metodo di lavoro e organizzazione che ha come principale obiettivo quello di smantellare le gerarchie sociali (uomo/donna, nerə/biancə, abile/disabile, riccə/poverə, umano/non umano, ecc.) al fine di distruggere la società attuale e costruirne una nuova basata su organizzazione orizzontale, libera da gerarchie, istituzioni statali, poteri centralizzati, oppressioni sociali e fondata su solidarietà e mutuo appoggio. Va da sé che non può esistere anarchismo senza una profonda autocritica, apertura al cambiamento, dialogo, solidarietà e consapevolezza dei propri privilegi e del fatto che le dinamiche di oppressione risiedano prima di tutto nelle nostre menti, e solo dopo nelle leggi, nelle istituzioni, nelle azioni, nel linguaggio e in altri dispositivi performativi.

Sono sicurə che l’autocritica e lo smantellamento delle gerarchie sociali radicate nel nostro pensiero costituiscano il primo passo verso l’anarchia a cui auspichiamo.

Intersezionalità                                                       Termine coniato dalla femminista nera Kimberlé Crenshaw nel 1989 e che descrive i modi in cui i sistemi di disugualianza basati su genere, razza, etnia, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, classe e altre forme di discriminazione si intersecano per creare dinamiche ed effetto unici. Le forme di disuguaglianza si stratificano e si rafforzano a vicenda e devono quindi essere analizzate ed affrontate simultaneamente per impedire ad una di rafforzarne un’altra. L’antispecismo estende questo concetto anche alle altre specie, sostenendo che discriminazioni umane e specismo non siano slegate, ma che al contrario lavorino per consolidarsi a vicenda.

Ringrazio il compagno Iari Motta per l’introduzione.

Introduzione                                                          La liberazione degli altri animali tra le lotte di liberazione è quella più maggiormente ignorata e persino osteggiata. Sicuramente una fetta di responsabilità va attribuita al tipo di attivismo condotto da molti gruppi vegani animalisti1, che hanno respinto analisi e istanze politiche anarchiche, transfemministe, anticapitaliste, e così via, respingendo di fatto una lotta intersezionale. Tuttavia, sono del parere che questo non possa essere una scusante per non interrogarsi sul proprio privilegio di specie. Ritengo francamente che l’attivismo vegano neoliberale venga spesso sfruttato come scappatoia da parte della sinistra antiautoritaria per evitare una critica antispecista e un’assunzione della propria responsabilità, attribuendo ad esempio i valori del veganismo neoliberale alla lotta antispecista o categorizzando le persone vegane.

Anche se questo testo è principalmente rivolto agli ambienti libertari, voglio considerare il testo come una critica a tuttз coloro che ogni giorno riproducono consapevolmente o inconsapevolmente dinamiche speciste e antropocentriche (vedi definizioni), con la speranza di stimolare riflessioni e dibattiti. È bene specificare che chi scrive non è esente da critiche riguardo queste tematiche e simile alla riproduzione di altre dinamiche oppressive innescate da determinati privilegi, dubito che alcunə sedicente antispecista sia riuscitə a debellare completamente lo specismo dalla propria mente.

Unirsi in percorsi e prassi comuni 

Spesso le divisioni umano/non umano e umano/ambiente vengono radicalmente discusse solo in funzione dell’umano e di un vantaggio per quest’ultimo, che riconosce all'”altrə” una dignità ed un valore da rispettare solo se questo produce in ritorno all’umano qualcosa che lo riguardi positivamente.
Senza che ci sia un volontario ridimensionamento della dimensione umana all’interno dell’ecosistema, viene a mancare una critica totale alle gerarchie,
al potere e al ruolo dell’umano come utilizzatore razionale delle “risorse” o come custode/conservatore.
Le differenza tra la specie umana e le altre specie ci sono e non si può negare, ma queste non dovrebbero diventare dei gradini sui quali innalzarsi. La scelta è nostra e nostra è la responsabilità di far che l’organizzazione sociale che desideriamo – quella anarchica – sia veramente priva di gerarchie, comprese quelle di specie, tenendo in conto che non possiamo perseguire l’annientamento della borghesia se agiamo ancora da borghesi o da capitalistз verso gli altri animali e la Terra.
C’è purtroppo l’idea che la lotta di classe tra umani sia prevalente e più urgente delle altre lotte, e slegata da queste. Questa idea dura a morire trova linfa forse nella difficoltà di integrare in un unico percorso tutte le lotte di liberazione,
probabilmente dovuta a polarizzazioni reciproche che ogni lotta di liberazione ha attraversato, ponendo dei muri tra sé e le altre lotte.
Si sente spesso dire
che l’anarchismo è già intersezionale“.
Allora che lo sia davvero, unendosi in percorsi e sintesi comuni. Ma questo lo si può fare solo accettando che il personale è politico e che questo percorso investe tanto le teorie politiche quanto noi stess
з come individui, in un reciproco scambio e mutamento, al fine di una radicale decostruzione dell’individuo.
La volontà di decostruire per poi ricostruire insieme è fondamentale,
ma se l’individuo non è aperto a questo, non ci potrà essere alcun percorso comune.

L’essere umano è un animale                           La specie umana dimentica spesso di far parte del regno animale, ma in questo testo voglio riportare l’attenzione anche su questo punto, per cui quando parlo di animali o liberazione animale, non posso che riferirmi anche alla specie umana2.

L’antispecismo lavora in un’ottica di liberazione per tutti gli animali, umani e non, e quindi dell’ecosistema. Finché si continuerà a marcare la differenza tra essere umano ed essere non umano, respingendo così la nostra animalità, non sarà possibile avviare nessun processo di liberazione, perché le logiche gerarchiche e di dominio continueranno a conservarsi e a riprodursi.

Abbattere il pensiero antropocentrico                 Autodefinendosi homo sapiens (uomo saggio), la mente dell’individuo umano ha assimilato per secoli l’idea di essere intrinsecamente “saggio” e, quindi, equilibrato e razionale.

Nei secoli scorsi, diverse rivoluzioni scientifiche e culturali hanno messo in discussione la nostra identità di specie. Queste rivoluzioni hanno detronizzato idee antropocentriche, ridimensionando progressivamente la nostra idea sull’umano.

Come vedremo tra poco, ogni volta che le sicurezze che fanno sentire l’essere umano come centrale, potente e dominante vengono demolite, la specie umana fraintende, manipola e riadatta determinati concetti per riaffermare la propria supremazia e continuare così a giustificare un dominio sugli altri animali e sulla Terra, preservando il proprio privilegio di specie.

L’influenza del cattolicesimo                          L’antropocentrismo che abbiamo interiorizzato ed applicato è frutto di un lunghissimo processo coloniale e culturale e fu inizialmente teorizzato da filosofi come Aristotele, ma consolidato e divulgato dalla chiesa cattolica tramite la creazione del dualismo umano/natura3, idea successivamente ripresa e rinforzata dalle visioni sfruttatrici di Bacone e Cartesio.

Anche se moltз di noi si oppongono alla chiesa cattolica, è importante ricordare che quest’ultima negli ultimi due millenni ha avuto un’influenza culturale impressionante e che, volente o nolente, viene ancora inconsapevolmente tramandata anche da chi si oppone alle istituzioni religiose. Come afferma Jim Mason in Un mondo sbagliato: […] Anche se non può essere considerata l’origine in senso materiale, la Genesi ne è certamente l’origine da un punto di vista culturale; essa è infatti unanimemente considerata il testo sacro che sancisce il principale diritto accordato da Dio all’umanità, quello del dominio assoluto su tutto il creato.4.

Genesi 1:26: «E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»;

Genesi 1:28: «Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra»;

Eventi come la rivoluzione copernicana e la teoria dell’evoluzione di Darwin hanno cambiato radicalmente la nostra conoscenza, mettendo in discussione credenze antropocentriche divulgate dal cattolicesimo e sfidando la chiesa in un periodo storico dove questa aveva un’influenza molto forte.

Rivoluzione copernicana                                        Secondo i racconti cattolici antecedenti a questo evento, si diceva che dio creò il nostro mondo al centro dell’Universo, e che al centro di questo dominava l’uomo5, in cui infine si trovava la ragione, peculiarità presente nel solo umano. Questa visione dell’Universo, grazie a diverse scoperte, è stata distrutta per sempre, lasciando però residui culturali.

Come ben sappiamo, fino a seicento anni fa si pensava che la Terra fosse al centro dell’Universo e che il Sole, la Luna e i pianeti vicini ruotassero attorno ad essa. Questa visione, chiamata teoria geocentrica, fu principalmente pensata da Aristotele e Tolomeo e diventò il modello di riferimento per millenni, venendo accolta dalla dottrina cattolica. Nel 1543, l’astronomo Niccolò Copernico pubblicò un testo (De Rivolutionibus orbium coelestium) in cui egli elaborò la teoria eliocentrica, dove si sosteneva che la Terra fosse solo uno dei diversi pianeti ad orbitare attorno al Sole, e che quest’ultimo si trovasse al centro dell’Universo, concetto che sarebbe poi stato ripreso il secolo successivo da parte di Galileo Galilei.

Ovviamente il modello copernicano fu come un fulmine a ciel sereno e non trovò subito il pieno consenso della comunità scientifica e della chiesa cattolica, che condannò Galilei per eresia e abiura e inserì l’opera di Copernico nell’indice dei libri proibiti dalla chiesa, in quanto metteva in dubbio i racconti della sacra bibbia, la quale poneva l’essere umano al centro del Tutto.

La teoria dell’evoluzione di Darwin                 Storicamente si può osservare che ogni scoperta sulla nostra animalità ci ha spinto a cercare nuove vie per riaffermare la nostra centralità e superiorità, sempre in modi diversi. Realizzare che siamo solo una specie in mezzo a tante altre e che il pianeta e l’Universo non abbiano bisogno di noi sembra un ragionamento scontato, ma che come specie facciamo tutt’ora fatica ad accettare. Dopo il trauma sociale a seguito degli studi di Copernico e Galilei, ci fu, nei secoli successivi, un’altra scoperta che diede un altro scossone alla società umana. Nell’anno 1859, Charles Darwin pubblicò un manoscritto che chiamò L’origine della specie, su cui lavorò per due decenni.

Prima delle rivoluzioni scientifiche da parte di Copernico e Darwin, la specie umana basava il concetto di natura su un modello di riferimento gerarchico definito scala naturae, chiamato anche scala dell’essere o grande catena dell’essere e che posizionava, su livelli di razionalità e perfezione e dall’alto verso il basso: dio, gli angeli, l’umanità, il mondo animale, il mondo vegetale e il mondo minerale. Darwin distrusse questo modello, asserendo che l’essere umano fosse soltanto una specie tra milioni di altre specie e che la nostra evoluzione, come quella degli altri organismi viventi, fosse stata plasmata da quella che definì selezione naturale.

La selezione naturale, a differenza di quanto alcunз possano pensare, non è “la legge del più forte”, bensì la capacità all’adattamento. La selezione naturale pensata da Darwin non era assolutamente connessa ad un concetto di competizione: egli non usò mai l’espressione “sopravvivenza del più forte” ma sottolineò invece il nostro essere animali, evidenziando che le specie si differenziano per grado, ovvero per differenti capacità apprese in base alle esigenze, e non per genere, ovvero capacità o caratteristiche che sono presenti o assenti. Ciò sta a significare che le specie animali si sono sempre adattate ai loro bisogni e ai loro ambienti, modificandosi ed evolvendo di conseguenza. La specie umana potrebbe aver sviluppato capacità diverse rispetto ad altri animali a seguito di esperienze e percorsi di adattamento differenti; questo non rende automaticamente specie superiori ad altre, ma semplicemente diverse.

Darwinismo sociale                                                                  Per strumentalizzare le teorie di Darwin a favore del capitalismo industriale (che era nelle sue fasi iniziali) e delle classi dominanti, si rielaborò la teoria di Darwin in chiave sociale: coniando il termine darwinismo sociale si modificò il valore originario di selezione naturale nell’immaginario collettivo, che iniziò ad assumere quello di “legge del più forte”. La competizione gioca un ruolo fondamentale nel capitalismo, e il darwinismo sociale alimentò l’idea che la forza creasse il diritto al dominio. Fraintendendo volutamente le teorie di Darwin, i promotori del darwinismo sociale adottarono un significato di selezione naturale errato, dichiarando che l’emarginazione delle classi povere era inevitabile, perché processo evolutivo della selezione naturale, o sostenendo l’ideologia delle razze che venne abbracciata, ad esempio, dall’eugenetica nazista. Tuttavia, seppur oggigiorno il modello del darwinismo sociale abbia perso l’influenza che aveva precedentemente, questo continua ad avere un’influenza culturale su di noi e nel giustificare le discriminazioni di classe, di etnia, di genere, di specie e così via.

Nietzsche e Freud sulla razionalità                         A noi esseri umani piace spesso ribadire di essere razionali, e per questo motivo superiori alle altre specie, che razionali non sono. Ciò che fecero Nietzsche e Freud fu smontare l’idea dell’essere umano intrinsecamente razionale, affermando che siamo invece governatз da impulsi solo in parte razionali.

La psicoanalisi teorizzata da Freud aiuta a comprendere come noi tuttз non controlliamo consciamente le nostre azioni, che sono invece influenzate da pulsioni inconsce e alle volte molto difficili da comprendere. Gli studi di Nietzsche indicano che la razionalità sia solo una parte della nostra personalità, che viene completata da una serie di impulsi che fanno parte del nostro inconscio dove pensieri, istinti ed emozioni controllano le azioni di noi animali, spesso senza consapevolezza. La razionalità è solo una parte delle nostre forze, non quella principale.

Nel suo ultimo anno di vita, la sorella di Nietzsche alterò le sue opere per trasformarle in una sorta di bibbia ideologica del nazismo, selezionando, manipolando e pubblicando frammenti di Nietzsche e raccogliendoli in un archivio chiamato Nietzsche-Archiv, in cui si dipingeva Nietzsche come un ricercatore del potere e del successo incondizionato. Alcuni studiosi, come Maurizio Ferraris, non vogliono sollevare Nietzsche dalla sua responsabilità per aver preparato alcune basi teoriche del nazismo, tuttavia il discorso è più complesso e definire Nietzsche come un antisemita o come padre del nazismo risulta essere un giudizio azzardato. Dopo la sua morte, grazie alla sua fama, l’idea di Übermensch (super-uomo) da egli teorizzato venne sfruttata dalla sorella e dalla Germania nazista per promulgare idee razziali e antisemite, includendola nella propaganda nazionalsocialista.

Cos’è la natura?                                            Capita spesso di sentir abusare il termine “natura” per sostenere che mangiare altri animali sia “naturale”, con una mistificazione del concetto di selezione naturale analoga a quanto scritto sopra. Quando la specie umana vuole dare valore alle proprie tesi discriminanti, che queste siano speciste, razziste, omofobe, transfobiche e così via, ricorre sempre a questa fatidica “natura”: è naturale mangiare animali; è naturale che gli uomini si accoppino con le donne e che procreino; l’omosessualità è innaturale; cambiare sesso è innaturale e via dicendo.

Il cosa è o non è naturale è quasi sempre strumentalizzato per mantenere rigidi binarismi sociali e proteggere determinati privilegi. Non solo, ciò alimenta anche la visione antropocentrica dell’ambiente intorno a noi, dato che la natura – per come la vediamo – è indefinibile a meno che non sia definibile dalla sola visione umana e occidentale. La natura è conosciuta e vissuta in modi differenti da altre culture in diversi periodi storici e anche da culture non umane6. Per questo motivo, credo dovremmo emanciparci dal concetto di natura e dal dualismo civiltà/natura che abbiamo assimilato dalla società industriale, e passare oltre.

«All’infinito compito ontologico di definire cosa sia la natura, si sostituisce quello politico di denunciare a chi e a che cosa serva il continuo ricorso alla naturalità.».7

L’essere umano è l’animale “più intelligente”     Come abbiamo già detto, l’essere umano è costantemente ostinato a cercare di riaffermarsi come centrale, cercando costantemente una differenza definitiva tra la specie umana e le altre specie. Ogni volta che l’identità di umano dominante viene messa in discussione, subentra il bisogno di trovare nuovi argomenti per riconfermarla e difenderla. Lo abbiamo visto con la censura della teoria eliocentrica e con i voluti travisamenti del darwinismo e del pensiero di Nietzsche. Ma questi sono solo alcuni esempi di come l’essere umano provi sempre a limitare gli effetti delle rivoluzioni culturali. Ad esempio, si pensava che l’essere umano fosse l’unico animale capace di utilizzare strumenti. Si è scoperto invece che anche animali come uccelli, invertebrati e altri primati usano strumenti8. Scoperte del genere mettono in crisi il senso di superiorità della specie umana, quindi l’esigenza di ristabilirla ha portato ad affermare che l’essere umano sia l’unico animale capace di utilizzare strumenti per produrre altri strumenti.

Questo esempio rientra nel dibattito secondo cui l’animale umano sia più intelligente, ma tale affermazione è completamente insensata poiché l’essere umano definisce il concetto di intelligenza su abilità, conoscenze e culture umane. Il nostro concetto di intelligenza è inquinato e basato per buona parte su uno standard umano applicato a contesti umani. Non a caso consideriamo molti animali più intelligenti di altri basando il nostro giudizio su comportamenti simili a quelli tipici della specie umana, come accade ad esempio con alcuni pappagalli che riescono a riprodurre i suoni da noi emessi riuscendo anche ad interagire, o in generale ad animali addomesticati che rispondono ad ogni nostro stimolo nel modo in cui ci aspettiamo.

Le abilità di rendersi invisibili ai predatori, di trovare la giusta strada in un’enorme foresta, di volare, di orientarsi attraverso onde sonore o di percepire i poli magnetici sono tutti esempi di dimostrazioni di intelligenza che alcune specie animali hanno acquisito grazie ad un processo evolutivo diverso dal nostro.

L’intelligenza viene comunemente descritta come “capacità di risolvere un problema”, ma invece è un incontro più complesso tra diverse capacità che vanno oltre il concetto di logica-matematica: creatività, astrazione, auto-consapevolezza, emotività, pianificazione, risoluzione dei problemi; queste cambiano da individuo ad individuo e tali differenze dovrebbero essere viste, come direbbe Darwin, come differenze di grado e non di genere. Insomma, definire qualcunə più intelligente di qualcun*altrə è ingannevole, poiché non si considerano le esperienze personali degli individui ed altri fattori importanti che modellano le loro capacità. Giudicare un individuo (umano e non umano) in base ad una presunta “intelligenza” dovrebbe diventare, a mio avviso, qualcosa di obsoleto.

Ambienti umani e non umani                          Ci capita di frequente, come specie, di definire altri animali come poco intelligenti osservando situazioni in cui si comportano differentemente dalle nostre aspettative, o da come faremmo noi al loro posto. Uno dei pionieri dell’etologia, Jakob von Uexküll, riesce a descrivere in maniera soddisfacente questo concetto nel suo capolavoro Ambienti animali e ambienti umani. Infatti, Uexküll fa notare come ogni specie percepisca ogni oggetto o ambiente in maniera unica attraverso quelle che chiama marche percettive.

Se noi umani dovessimo camminare in un sotterraneo, con la giusta intensità di luce saremmo in grado di vedere le ragnatele sopra la nostra testa ed evitarle grazie alla nostra vista, cosa che invece non accade alle mosche, le cui marche percettive non permettono alla loro vista di identificare la rete; allo stesso modo, un riccio di mare risponde all’oscuramento dell’orizzonte con un movimento degli aculei: si difenderà da qualsiasi stimolo, che questo sia una nave, una nuvola o un pesce.

Ogni specie utilizza diverse marche percettive per leggere l’ambiente in cui si trova, e per quanto possa sembrare “incredibile” all’occhio umano assistere ai comportamenti o alle risposte agli stimoli degli altri animali, questa costituisce una normalità e un’operatività proiettata nel loro ambiente.

Inoltre, non solo umanizzare le altre specie risulta un approccio insensato e antropocentrico, ma forza ogni persona umana in un modello di intelligenza preimpostato, ignorando le capacità fisiche e mentali di ogni singolo individuo. Tanto per fare un esempio, diverse persone sostengono che siamo “più intelligenti” perché possiamo creare film, canzoni, sculture e costruire auto, torri, edifici, gru e così via, dando per assunto che ogni essere umano sia in grado di compiere queste attività, ma ciò non è vero, dato che si tratta di abilità soggettive e che non necessariamente possono essere imparate da ogni individuo. Alcune persone non saranno mai in grado di produrre film, scrivere canzoni, creare sculture, costruire edifici, e questo per diversi motivi dovuti ad esperienze e condizioni differenti per ogni individuo.

C’è inoltre da dire che queste competenze sono frutto di centinaia di migliaia di anni di processo evolutivo relativo alla sola specie umana, e non si possono applicare a specie che hanno avuto un processo diverso, ma sono invece peculiarità di una specie che si è evoluta in modo tale da sviluppare determinate conoscenze. Le complessità “ingegneristiche”, se così si può dire, sono valutate dalla visione soggettiva di ciascuna specie e confrontarle tra di loro è uguale a decontestualizzarle. Ad esempio, vedendola in un’ottica umana, se le formiche confrontassero la complessità dei loro formicai con un giaciglio di paglia, si potrebbero definire superiori ai maiali, ma ciò non avrebbe chiaramente senso.

Il nostro modo di giudicare la nostra e le altre specie denota che ciò che ci rende superiori ai nostri occhi non è da rivedere nella serie di abilità umane, bensì nell’identità umana stessa9. La presunta superiorità trova terreno unicamente su piani identitari, economici e politici, analogamente alle logiche dietro alle discriminazioni di razza e di genere.

Antropomorfizzare (o umanizzare) gli altri animali definendoli “meno intelligenti” è ancora una volta un giudizio funzionale all’affermazione della nostra superiorità di umani adulti e abili, dato che useremmo scale di misura che hanno come standard d’intelligenza quella dell’umano adulto e abile.

Connessioni tra specismo e discriminazioni umane                                                         Partendo dal concetto di intersezionalità possiamo ribadire come diverse discriminazioni si fortifichino a vicenda, facendo emergere il bisogno di analizzarle ed affrontarle senza prioritizzare una a discapito di un’altra. L’intersezionalità è ancora un argomento difficile da discutere in alcuni ambienti, come in quello vegano neoliberale. Tuttavia, anche in altri ambienti, come quello anarchico, l’atto di decostruire lo specismo è minimizzato, asserendo che ci siano cose più importanti a cui pensare. Non si prende in considerazione (solo quando si parla di specismo) che non c’è un obbligo nel dedicarsi attivamente a tutte le lotte e anzi, dubito che ci sia qualcunə che abbia tempo ed energia da dedicare ad ogni singola lotta sociale. Questo non significa, però, che dobbiamo giustificare o peggio contribuire a quel tipo di discriminazione solo perché consideriamo la nostra lotta più meritevole di attenzione, magari mossз pure da personalismi. Posso non partecipare attivamente alla lotta antirazzista, ad esempio, ma questo non minerà il mio processo personale di decostruzione del pensiero razzista (che ci è stato indottrinato dalla società) e non giustificherà i miei comportamenti razzisti. Allo stesso modo, non prendere attivamente parte alla lotta antispecista non dovrebbe giustificare il mio specismo attivo e consapevole.

Tengo a precisare che non è mia intenzione avvalorare maggiormente la mia critica allo specismo sfruttando il collegamento con le lotte umane, perché shockante, disgustoso e violento già da sé, ma solo descrivere come storicamente e culturalmente lo specismo abbia influenzato e rinforzato altre oppressioni. Voglio sottolineare come tutte le lotte siano interconnesse e importanti allo stesso modo e che solo demolendo ogni gerarchia possibile e il concetto stesso di gerarchia saremo in grado di distruggere l’ideologia del dominio.

Consumo di corpi animali e ruoli di genere         L’anello di congiunzione tra specismo e ruoli di genere è talmente ampio che si potrebbe discutere per giorni e giorni senza pausa10. Storicamente il consumo di corpi animali11 è sempre stato legato al concetto di mascolinità e virilità. Carol J. Adams, in Carne da macello. La politica sessuale della carne, analizza le differenti modalità di alimentazione e come queste siano funzionali a mantenere un rigido binarismo di genere. Ad esempio, arrostire i corpi animali è la modalità preferita dei maschi, dato che non ne modifica l’aspetto e mantiene una visione sanguinolenta, e ciò rimanda a idee di forza, di scenari cruenti e di guerra; mentre bollire è considerato banale, insipido e femminile. La carne rossa viene associata alla mascolinità, alla virilità, alla forza, mentre i latticini sono più associati ad un’idea di femminilità.

La connessione tra specismo e sessismo è palese a chiunque quando ci si imbatte in determinate pubblicità alquanto rivoltanti: un esempio tra i mille, tutto italiano, è lo slogan di qualche anno fa pensato dalla Macelleria Ugolini:La carne non è tutta uguale”, con un’immagine che ritrae due sederi femminili, uno apparentemente più “tonico” dell’altro, alimentando l’oggettificazione dei corpi, la definizione di uno standard di bellezza e il giudizio di cosa sia o non sia “sexy”.

Il rifiuto di consumare prodotti animali da parte di un uomo indica automaticamente che questo sia effeminato o omosessuale, perché manca la parte fondamentale del consumo animale: quella che dovrebbe sostenere la sua presunta virilità. Il veganismo, visto da questo punto di vista, è un’azione antinormativa e un rifiuto a conformarsi alle regole sociali eteronormate. Le persone vegane che si definiscono uomini diventano quindi un problema, poiché mettono a repentaglio la mascolinità e la virilità del modello eterosessuale.

Specismo e ruoli di genere vengono riprodotti anche a tavola, in famiglia. La scrittrice Sara Ahmed riporta la sua esperienza personale: «…ogni pasto che avrei consumato in famiglia avrebbe sfidato abitudini alimentari antropocentriche. Rifiutando non tanto il cibo animale quanto, peggio ancora, la modalità stessa dello stare insieme che si realizza intorno al desco famigliare. Sarei diventato un guastafeste. Non solo: dato che in futuro mia madre non avrebbe più potuto continuare a svolgere lo stesso “lavoro di servizio” femminile, per me e per gli altri componenti della famiglia, la mia scelta poneva in discussione anche l’ordine eterocentrato dello spazio domestico12.

Razzismo e colonialismo                                    Il colonialismo e la sua propaganda hanno seguito una prassi ben precisa in passato: trattare alcuni esseri umani esattamente come gli animali non umani. Africanз e nativз venivano denigratз e chiamatз “maiali”, “vermi”, “scimmie”, “ratti”. Una volta che il colonialista bianco riuscì ad assegnare loro un’immagine simile a quella di un animale selvatico, qualche gradino più in basso nella scala gerarchica antropocentrica rispetto all’essere umano, si legittimò di conseguenza lo stesso trattamento riservato alle altre specie animali.

Esattamente come il sessismo e il razzismo, lo specismo è creato su un dualismo tra un gruppo dominante e un gruppo dominato adatto a giustificare il dominio di uno sull’altro, per poi affermare che si tratti di un ordine naturale delle cose, seguendo una logica fondata su una presunta differenza biologica e/o anatomica; il razzismo è frutto di una teoria bianca suprematista, così come lo specismo è frutto di una teoria umana suprematista. Secondo i bianchi europei le persone nere non auspicavano alla libertà o ad altri bisogni/desideri che erano invece prerogative dei bianchi europei. Si può affermare la stessa cosa del modo in cui sono visti, descritti e trattati gli animali non umani imprigionati negli allevamenti, negli zoo o in altri luoghi di prigionia.

Anche se ho detto che lo specismo, come il razzismo, sia fondato su una logica biologica, vorrei soffermarmi un attimo su questo aspetto, perché non lo considero completamente corretto. Il razzismo, così come lo specismo, non si basa solo su presunte differenze biologiche, ma anche e soprattutto su logiche economiche e politiche. Così come le classi dominanti necessitavano della schiavitù e della subordinazione delle persone non bianche per espandersi e mantenere il loro potere, così l’attuale capitalismo ha bisogno dello specismo e della subordinazione degli animali non umani (e degli umani nei paesi depredati) per mantenere il proprio status quo13.

Classismo e capitalismo                                  Lo sviluppo del capitalismo, o meglio, della concezione economica e dello sfruttamento dei corpi, nasce probabilmente intorno agli anni della rivoluzione agricola, periodo in cui la specie umana inizia a controllare le piante e gli altri animali. Il termine capitalismo deriva da caput (capo di bestiame), indicando il fatto che gli animali non umani siano stati una delle prime merce di scambio dell’economia dopo la rivoluzione agricola.

L’addomesticamento delle vacche per l’agricoltura14 e del cavallo per gli spostamenti e i combattimenti furono elementi fondamentali per l’espansione coloniale15; così come i processi di macellazione di inizio ‘900 aiutarono lo sviluppo del capitalismo industriale: Henry Ford parlò del legame tra la sua catena di montaggio, prima nel suo genere a livello industriale, e la catena di smontaggio che vide in un macello che visitò a Chicago, da cui egli prese ispirazione16.

Durante il processo di industralizzazione dell’europa, tra le classi privilegiate inglesi, il consumo di corpi animali divenne strumento per manifestare un certo grado sociale e privilegio. «L’influenza politica di un uomo dipendeva in misura non irrilevante dalla sua capacità di attrarre alla propria tavola personaggi influenti. Alla tavola dei lord, la carne era uno strumento politico e sociale che suggeriva il rango e lo status dei commensali. I commensali più importanti erano sempre serviti per primi, poi si passava agli altri rispettandone il rango, e così via. I migliori tagli di carne erano riservati ai primi che venivano serviti; i tagli meno graditi erano distribuiti sulla base di criteri rigidamente gerarchici. […] Mentre i ricchi si ingozzavano di carne, i poveri, praticamente esclusi dalla dieta carnea fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo, si accontentavano di quelle che gli inglesi chiamavano “carni bianche”: formaggio, latte, burro e altri prodotti caseari. Fra ricchi e poveri, vi erano una classe operaia sempre più numerosa e una borghesia sempre più benestante e potente che aspiravano ai costumi carnivori della nobiltà.17».

Tutt’oggi la carne ha acquisito lo status symbol del benessere economico: Paesi in continua crescita economica sono caratterizzati da un continuo aumento di consumo di corpi animali18.

Sfruttamento “etico” e bio-violenza19                 L’allevamento etico, bio-carne o carne felice, consiste in un subdolo escamotage e meccanismo ingannevole da parte delle industrie per tenersi stretti quegli individui che si preoccupano del “benessere animale”20. Non solo, anche chi consuma decide di ingannare se stessə, in modo da continuare indisturbatə a consumare prodotti animali scendendo ad una sorta di compromesso con la propria coscienza, e nascondendosi dietro a scappatoie ipocrite. E così non solo questi individui si convincono di scegliere una strada più etica e più green, ma giudicano la violenza dello sfruttamento animale solo per le modalità dello sfruttamento e morte, considerando l’allevamento “bio” come più etico di quello intensivo e disinteressandosi dei bisogni biologici e sociali degli altri animali, il cui unico scopo è essere allevati, cresciuti ed usati per soddisfare i desideri e gli scopi umani.

Utilitarismo e sacrifici necessari                           La persona occidentale inorridisce di fronte ai racconti dei sacrifici sui non umani attuati da alcune società non civilizzate, definite “barbare” e “retrogade”, dimenticando che l’occidente fa la stessa identica cosa, solo con modalità “consone” e supportate da buona parte della comunità scientifica e non. Dall’allevamento di animali destinati ai supermercati all’ambito della vivisezione21, il sacrificio delle altre specie è considerato utile e necessario allo scopo umano. Restando nell’ambito della vivisezione, molte persone sono d’accordo sullo sperimentare su altri animali per tre semplici motivi:

1) gli esperimenti sono compiuti su altrз, non su di loro;              2) i soggetti sono animali considerati inferiori e meno meritevoli alla vita rispetto alla specie umana;                                                          3) la sperimentazione animale è utile.

Quest’ultimo punto è più provocatorio che altro, perché non ho intenzione di dibattere su utilità o inutilità della sperimentazione scientifica su altre specie, perché non credo che l’utilità di un’azione possa giustificare l’oppressione sistematica sui corpi e sulle menti altrui.

Secondo la logica dell’utilitarismo, fintantoché un sacrificio (ripeto, su altrз, e non su di noi) sia utile, o perlomeno c’è la possibilità che lo sia, allora questo è eticamente giustificato. Chiaramente la sperimentazione su umani sarebbe più proficua, ma farebbe rabbrividire chiunque, perlomeno finché questa non si dimostri l’unica strada, o quella più indicata, per garantire il “bene comune”22.

Nella vivisezione gli unici requisiti da soddisfare per esercitare controllo sui corpi sono l’utilità e gli effetti benefici di tali sacrifici per la comunità umana. L’antispecismo rigetta la sperimentazione, lo sfruttamento e l’utilizzo non consensuale su ogni corpo, a prescindere che queste pratiche siano utili o meno.

L’illusione del pensiero freegan                          Posso descrivere semplicemente il pensiero freegan (o freeganism) in questo modo: il freeganism è uno stile di vita “anticapitalista passivo” adottato per provare a vivere con meno soldi possibili, praticando il viaggio nei mezzi pubblici senza biglietto, il saccheggio dei negozi (o shoplifting), l’occupazione di luoghi abbandonati (o squatting), il recupero di oggetti o cibo dai cassonetti (o dumpster-diving) e così via. Voglio soffermarmi su quest’ultimo, in particolare sul recupero del cibo, fermo restando che il mio pensiero non è rivolto alle persone che non hanno il privilegio di poter scegliere cosa scartare dai cassonetti, bensì a tutti gli individui e gruppi politici che possono permetterselo ma che, per un motivo o per un altro, si rifiutano di farlo.

Nei luoghi politici, dagli squat cittadini alle foreste occupate, il recupero di cibo di origine animale è spesso oggetto di dibattiti. Sostanzialmente ci sono persone che si identificano come sostenitrici della lotta antispecista, ma che continuano a consumare prodotti di origine animale recuperati dai cassonetti, asserendo che se i prodotti recuperati non sono stati pagati, allora non si sta contribuendo economicamente alla loro produzione.

Questo ragionamento ci fa cadere in due fraintendimenti:                1) quello consumista, perché ritiene che il boicottaggio (non mirato) di un prodotto porti a una diminuzione della sua produzione, dimenticando che lo stesso surplus è appositamente creato dall’industria alimentare per stimolare continuamente il circolo dell’offerta e della domanda23, inoltre considera l’astensione dal consumo di certi prodotti come una sola scelta di boicottaggio, e non come una radicale critica sociale;                                               2) quello specista, perché si considerano i corpi e le secrezioni degli altri animali come consumabili. Recuperare corpi o secrezioni dai cassonetti significa rifiutare la critica antispecista rafforzando lo specismo e l’idea che gli animali non umani possano essere consumati, cosa che non succederebbe mai con corpi o secrezioni umane, perché qualcosa di estraneo alla nostra cultura occidentale. Lo specismo è sicuramente stato ed è tutt’ora spinto e supportato dal capitalismo, ma credere che possa sparire con la caduta del sistema economico, anziché con la sua decostruzione ideologica, palesa un ragionamento completamente fuori strada24.

Resistenza animale                                            I luoghi in cui vengono imprigionati e schiavizzati gli animali non umani presentano varie somiglianze con il modo in cui funziona il sistema carcerario umano: imprigionamento, sottrazione della libertà, controllo e alienazione sono tutte modalità che agiscono per annullare completamente l’individualità di qualcunə. Come succede con le prigioni umane, questo succede con gli allevamenti, i circhi, i laboratori di vivisezione, gli zoo e così via. È facile trovare materiale sulla resistenza non umana25, anche se il materiale reperibile è da considerarsi solo una piccola parte rispetto a quello che succede, dato che molte ribellioni vengono silenziate e non divulgate. Mostrando e guardando queste testimonianze è possibile ascoltare direttamente coloro che sono protagonistз di questa lotta attraverso un linguaggio universale: la resistenza.

Gli animali non umani schiavizzati provano continuamente a ribellarsi e a resistere ai loro oppressori, ma la maggior parte delle volte falliscono nel loro intento e se riescono a fuggire vengono riportati in quei luoghi. Questo succede perché l’ambiente che si ritrovano ad affrontare dopo essere evasз è fatto e pensato unicamente su modello umano e su esigenze umane. Ovunque scapperanno, in ogni caso, saranno sotto il controllo umano, e gli apparati statali si organizzeranno per cacciarlз e re-inserirlз nei posti da dove sono fuggitз.

È poi da citare il modo in cui l’opinione pubblica reagisce quando animali non umani scappano da quei luoghi: espressioni come “toro impazzito” o “cinghiale pericoloso” minimizzano il loro intento e sono efficienti per ridicolizzare la loro condizione di fuggitivз, spaventare la popolazione e giustificare il loro abbattimento o la loro cattura, in modo da segregare nuovamente questi individui e ristabilire la normalità e la “sicurezza”.

Alcuni animali non umani che venivano schiavizzati vivono ora nei rifugi (o santuari) antispecisti26. Anche se il progetto dei rifugi antispecisti sembra entusiasmante, c’è da dire che si parla comunque di animali che, a causa delle loro condizioni passate, hanno ricevuto dei traumi probabilmente indelebili. Conoscere il background di ogni animale e assistere, giorno dopo giorno, alla sua evoluzione personale è un’esperienza in grado di insegnare tanto sull’animalità e fare luce sul nostro modo paternalista e dominante di rapportarci con le altre specie.

Come già accennato, gli animali non umani non possono fuggire, perché una volta scappati si ritrovano in un ambiente costruito, conosciuto e gestito dalla stessa specie che legittima la loro oppressione. Ma alle volte succede che alcuni individui, o gruppi di individui, riescano a fuggire e a trovare la loro indipendenza. È il caso delle Vacche Ribelli27 che vivono in Liguria. Questa mandria di vacche ha subìto, negli anni, una caccia alla vacca da parte di svariati squadroni di caccia che avevano l’obiettivo di abbatterle perché considerate pericolose: obiettivo fallito, perché la mandria è sempre riuscita a scappare e a trovare riparo.

Le sole azioni delle altre specie di evitare la prigionia e il dolore dovrebbero evidenziare il fatto che tutti gli animali abbiano desideri e bisogni basilari in comune, e che il nostro modo di percepire le altre specie sia solo una visione prodotta da millenni di propaganda umana.

L’indivisibile legame fra anarchismo e antispecismo                                                        Arrivatз a questo punto possiamo constatare che un anarchismo senza antispecismo, o un antispecismo senza anarchismo, costituirebbero un’analisi sociale e politica incompleta28. L’antispecismo mira a distruggere le gerarchie di specie, mirando alla liberazione di tutti gli animali. Tuttavia, non può esserci una liberazione animale all’interno del sistema capitalista e senza una decostruzione delle gerarchie presenti nella nostra mente. Ed è qui che entra in gioco la prassi anarchica.

L’anarchismo si pone l’obbiettivo di distruggere le gerarchie oppressive, analizzare e decostruire l’ideologia del potere per poi distruggere i dispositivi fisici e legali e poter costruire una nuova società basata su organizzazione orizzontale, solidarietà, mutuo appoggio e cooperazione. Ma finché si vedranno le altre specie e l’ecosistema attraverso gli occhi di chi vuole soggiogarle e dominarle non si potrà decostruire l’ideologia del dominio che abbiamo interiorizzato. Per cui la strada verso l’anarchia deve necessariamente coinvolgere sia la prassi anarchica, sia l’analisi antispecista29. Quando si dice “non siamo liberз finché tuttз non sono liberз” dovremmo considerare in questo ‘’tuttз” anche il coinvolgimento delle altre specie e del pianeta, perché la liberazione sarà totale, per tuttз, oppure non sarà.

Taro Colocasia

Note                                                                         [1] Global Project: la liberazione animale nell’era neoliberista: https://www.globalproject.info/it/in_movimento/la-liberazione-animale-nellera-neoliberista/21992.        

[2] L’essere umano nasce infatti dalla famiglia dei primati ed è definito dall’antropologo Jared Diamond come il terzo scimpanzé, dopo il bonobo e lo scimpanzé comune.         

[3] A tal proposito può essere interessante la lettura di questo articolo, che purtroppo non ho trovato in italiano: The Historical Roots of Our Ecological Crisis: https://www.cmu.ca/faculty/gmatties/lynnwhiterootsofcrisis.pdf.

[4] Mason J., Un mondo sbagliato. Alessandria, Edizioni Sonda, 2007, p. 42.

[5] Dico letteralmente “uomo” perché la visione antropocentrica era (ed è) accompagnata spesso da una visione patriarcale.

[6] A proposito di culture non umane, FRIScIence. Le culture degli altri animali: https://friscience0.wordpress.com/2017/02/10/le-culture-degli-altri-animali/.

[7] Filippi M., Questioni di specie. Milano, Eléuthera, 2017, p. 82.

[8] Per approfondire: Usare strumenti, un’abilità non solo umana: https://oggiscienza.it/2020/01/29/animali-usano-strumenti/.

[9] In questo caso, l’identità umana a cui si fa riferimento coincide con il modello dell’individuo adulto, sano e abile.

[10] Raccomando la lettura di Sessismo e specismo: quale connessione?(https://lapiega.noblogs.org/post/2018/04/03/sessismo-e-specismo-quale-connessione/) e di due articoli (in inglese): Patriarchy and speciesism (https://medium.com/@antispeciesistactioncollective/patriarchy-and-speciesism-ef9e5ab22291)The impact of Masculinity on the Animal Liberation Movement (https://www.academia.edu/34034926/The_Impact_of_Masculinity_on_the_Animal_Liberation_Movement).

[11] Utilizzo volutamente l’espressione “corpi animali” e non “carne” per spezzare la distanza che abbiamo instaurato tra cosa mangiamo e chi mangiamo.

[12] Simonsen R.R., Manifesto Queer Vegan, Ortica editrice, 2014, p. 31-32.

[13] Vedi: Sfruttamento animale, capitalismo e fame nel mondo: https://www.devianceproject.com/DevianceProject/2019/03/30/sfruttamento-animale-capitalismo-e-fame-nel-mondo/.

[14] Jeremy Rifkin, in Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, analizza come i bovini siano stati soggiogati per creare le fondamenta dell’odierno occidente, e in particolare per guidare la colonizzazione delle Americhe.

[15] Vedi: Diamond J., Armi, acciaio e malattie, Einaudi, 2014, p. 6667. e ipotesi kurganica (o teoria delle steppe): https://www.anarcopedia.org/index.php/Ipotesi_Kurgan.

[16] In lingua inglese: what Henry Ford learned from a slaughterhouse: http://www.mstaires.com/what-henry-ford-learned-from-a-slaughter-house/.

[17] Rifkin, J., Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, Oscar Mondadori, 2002, p. 6768.

[18] Correlazione tra consumo di animali e PIL pro-capite: https://www.ohga.it/continua-a-crescere-il-consumo-di-carne-soprattutto-nei-paesi-piu-ricchi/.

[19] Consiglio di dare un’occhiata al blog di BioViolenza https://bioviolenza.blogspot.com/.

[20] Ad oggi si usa l’espressione benessere animale per indicare il welfarismo guidato da quelle istanze animaliste neoliberali che mirano ad un miglioramento delle gabbie e dei metodi di prigionia ed uccisione attraverso la riforma delle leggi, cadendo di conseguenza nella logica specista/legalitaria.

[21] La comunità scientifica continua a sostenere una differenza sostanziale tra vivisezione e sperimentazione, dichiarando che la “vivisezione” sia una pratica crudele e obsoleta che consiste nella dissezione di individui vivi, provando così a creare una distanza tra pratiche crudeli (vivisezione) e pratiche meno crudeli ma utili all’umanità (sperimentazione). Tuttavia, rifiuto tale differenza linguistica perché la considero inutile e fuorviante e decido di utilizzare consapevolmente il termine vivisezione. Per dirla in un altro modo, con le parole di Massimo Filippi: “ci impegneremmo in simili battaglie semantiche se avessimo a che fare con la sofferenza e la morte di umani? Passeremmo amabilmente il nostro tempo a decidere se è meglio usare il termine “tortura” o quello di “interrogatorio particolarmente violento”?”.

[22] Tra i tanti eventi storici a riguardo, ricordiamo le sperimentazioni su umani condotte dai medici nazisti quali Mengele e Wirths o la spedizione Balmis dell’ottocento: dove 22 bambini orfani furono usati come portatori in vivo del vaccino contro il vaiolo per distribuirlo in America Latina e nelle Filippine.

[23] Il paradigma della domanda e dell’offerta al giorno d’oggi è un meccanismo estremamente complesso, per cui non voglio dire che il boicottaggio sia aprioristicamente inutile, ma che il solo cambio di consumo non basta ad apportare un cambiamento positivo. Perciò, quando si parla di freeganism o di boicottaggio, credo personalmente che sia importante svincolare il proprio giudizio dal puro concetto economico.

[24] Basti fare ricerche sulle comunità rurali che provano a vivere secondo i principi dell’autosufficienza e della permacultura, per vedere che la maggior parte di loro utilizza animali non umani nelle loro pratiche.

[25] Consultare il blog di Resistenza Animale: https://resistenzanimale.noblogs.org/.

[26] I rifugi (o santuari) antispecisti sono luoghi che ad alcunз potrebbero ricordare delle fattorie, ma che funzionano diversamente, ovvero offrendo un rifugio agli animali vittime dell’industria zootecnica, nel rispetto della loro etologia e della loro individualità, senza nessun tipo di sfruttamento. Ciò significa che in un rifugio non si vede l’altro animale come prodotto o macchina produttrice, ma lo si lascia vivere rispettando i suoi spazi e le sue esigenze. I rifugi antispecisti sono da considerarsi come un compromesso visto in un’ottica di transizione da una società specista ad una a-specista, e non come una soluzione. Una lista dei rifugi in Italia si trova nel blog Animali Liberi (http://www.animaliliberi.org/site/), anche se molti altri rifugi non sono presenti nella lista.

[27] Link al mini-documentario Vacche Ribelli: https://vimeo.com/221235876.

[28] Raccomando due articoli di Nicholas Tomeo: Antispecismo e anarchismo: un nesso inscindibile (https://www.manifestoantispecista.org/web/antispecismo-e-anarchismo-un-nesso-inscindibile/) e Sono anarchico, dunque antispecista (https://umanitanova.org/sono-anarchico-dunque-antispecista/).

[29] Quaglia. Una risposta radicale alle persone anarchiche non vegane: https://quaglia.noblogs.org/files/2019/07/Biting-back-ITA_IMPOSED.pdf.

Letture consigliate

Brian A.D., Liberazione Animale e Rivoluzione Sociale, 1995.

Best S., Liberazione totale. La rivoluzione del 21° secolo, Ortica Editrice, 2017.

Colling S., Animali in rivolta. Confini, resistenza e solidarietà umana, Mimesis, 2017.

Uexküll J., Ambienti animali e ambienti umani, Quodlibet, 2013.

Bisconti M., Le culture degli altri animali, Zanichelli, 2008.

Filippi M., Questioni di specie, Elèuthera, 2017.

Piazzesi B., Colombo R., Mormino G., Dalla predazione al dominio. La guerra contro gli animali, Cortina libreria Milano, 2017.

Adams C.J., Carne da macello. La politica sessuale della carne, Vanda Edizioni, 2020.

Aph K., Syl K., Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero, Vanda Edizioni, 2020.

Simonsen R., Manifesto Queer Vegan, Ortica Editrice, 2014.

Rifkin J., Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, Oscar Mondadori, 2002.

Mason J., Un mondo sbagliato. Storia della distruzione della natura, degli animali e dell’umanità, Edizioni Sonda, 2007.

Anonimo. Total Liberation, 2019 (https://theanarchistlibrary.org/library/total-liberation-anonymous-english).


Against anthropocentrism in radical leftist

Towards an anti-speciesist anarchism

Glossary                                                           Anthropocentrism (humancentrism)                     Belief according to which the human species plays a central role in the Universe and that arranges other species and ecosystems in a subordinate position. Anthropocentrism considers ecosystem and who belongs to it as usable to reach goals which satisfy only human desires, regardless of the consequences for the lives of other animals and their environment.

SpeciesismRooted in anthropocentric thinking, speciesism is based on the belief that humans benefit of greater importance than other animals, basing this judgement on abilities and/or identities standardised by the human species itself to justify their exploitation and transform them into food products, scientific test subjects, objects for entertainment and/or company, and so on. Anti-speciesism takes position against this thinking, considering all animal species as important in the same way.

Veganism In simple terms, veganism is a practice of abstaining, as far as is possible and practicable, from consuming animal products or activities involving their exploitation (food, clothing, circuses, zoos, experimentation, and others). Often reduced as diet, veganism looses its subversive power and it’s seen as simple alternative diet. When, in the best scenario, veganism surpasses the idea of diet, it’s seen as simple boycott practice, remaining in actual fact stucked in a consumerist logic. However, veganism is part of a deeper politic analysis and critique of anthropocentrism and, as we are going to see, subverts and questions the oppressive structures of our society, both within and outside the human species.

Anarchism   Anarchism is a path and a method of work and organization that mainly aims to dismantle social hierarchies (man/woman, white/black, able/disable, rich/poor, human/non-human, etc.) in order to destroy actual society and re-build a new one based on horizontal organization, free from hierarchies, statal istitutions, centralized power, social oppressions and based on solidarity and mutual aid. It goes without speaking that there can be no anarchism without deep self-criticism, oppeness to change, communication, solidarity and awareness of our own privileges and the fact that oppressions lay first of all in our minds, and only then in laws, istitutions, actions, language and other performative devices.

I am sure that self-criticism and the dismantling of the social hierarchies rooted in our thinking represent the first step towards the anarchy we hope for.

Intersectionality   Term coined by the black feminist Kimberlé Crenshaw in the 1989 and that analyses the ways in which systems of inequality based on gender, race, ethnicity, sexual orientation, gender identity, disability, class, and other forms of discrimination intersect to create unique dynamics and effects. Forms of inequality stratify and reinforce each other and therefore need to be analysed and addressed simultaneously to prevent one from reinforcing another.

Anti-speciesism extends this concept to other species, affirming that human discriminations and speciesism are not unrelated, but on the contrary they work to consolidate each other.

Please note:

Some quotations in this text may differ from the originals. Unfortunately, I was unable to access several resources in the original (English) language, but I made every effort to report the meaning of these as accurately as possible.

I thank comrade Iari Motta for the introduction.

Introduction

Liberation of other animals among the human struggles is the most ignored and even hindered one. Some responsibility certainly lies with the type of activism conducted by many vegan groups, which have rejected anarchist, transfeminist, anti-capitalist analyses, actually rejecting an intersectional struggle. However, I think that this cannot be an excuse to avoid a self-criticism about our species privilege. I frankly believe that neo-liberal vegan activism is often used as a loophole by the anti-authoritarian leftist to avoid anti-speciesist critique and accountability, for example by attributing the values of neo-liberal veganism to the anti-speciesist struggle or by categorising vegan people.

Although this text is mainly addressed to libertarian circles, I want to consider the text as a critique of all those who every day consciously or unconsciously reproduce speciesism and anthropocentrism (see definitions), in the hope of stimulating considerations and debates. It should be pointed out that the writer is not free from criticism about this topic and that – similarly to the reproduction of other oppressive behaviours and thoughts caused by privileges – I doubt that any self-called anti-speciesist has managed to completely eradicate speciesism from their own mind.

Uniting in common paths and practices

Human/non-human and human/enviornment divisions are often and radically discussed only in function of the human and of an advantage for the latter, which recognises the ‘other’ a dignity and a value to be respected only if this produces back something positive for the human being. Without a voluntary downsizing of the human dimension within the ecosystem, a total critique of the hierarchies, power and the role of human as rational user of ‘resources’ or as custodian/conservator is missing.

Differences between the human species and other species exist and cannot be denied, but they should not become steps on which we rise on. The choice is ours as well as the responsibility to ensure that the social organisation we desire – the anarchist one – is truly free of hierarchies, including species hierarchies, bearing in mind that we cannot pursue the annihilation of the bourgeoisie if we still act as bourgeois or capitalists towards other animals and the Earth.

There is unfortunately the idea that the class struggle between humans is more urgent than the other struggles, and unrelated to them. This die-hard idea is perhaps rooted in the difficulty of integrating all liberation struggles into a single path, probably due to the reciprocal polarisation that each struggle has gone through, putting walls between themselves and other struggles.

It is often said that ‘anarchism is already intersectional‘. Then let it really be. But this can only be done by accepting that the personal is political, and that this path involves political theories as much as we ourselves as individuals, in a mutual exchange and change, in order to accomplish a radical deconstruction of the individual. The willingness to deconstruct and then rebuild together is fundamental, but if the individual is not open to this, there can be no common path.

Human being is an animal       

Human species often forgets to be part of animal kingdom, but in this text I would like to drawing attention to this point, so keep in mind that when I talk about animals I also refer to humans1.    Anti-speciesism works for the liberation of every animal, human and non-human, and therefore for the ecosystem. As long as we mark the difference between human and non-human beings, rejecting our animality, no liberation process can be possible, because the hierarchical and domination logic will continue to preserve and reproduce itself.       

Overthrow anthropocentric thinking                   Calling itself homo sapiens (wise man), the mind of the human individual assimilated for centuries the idea of being intrinsically ‘wise’ and, therefore, balanced and rational. In the past centuries, several scientific and cultural revolutions questioned our species identity. These revolutions overthrowed anthropocentric ideas, progressively downsizing our idea of the human being. As we are going to see, every time the cultural foundations of human superiority are demolished, the human species misunderstands, manipulates and re-adapt concepts in order to continue to justify its domination on other animals and on Earth, preserving its species privilege.

The influence of catholicism

Anthropocentrism we internalised and applied is the outcome of a long colonial and cultural process.

Theorised and popularized by philosophers such as Aristotle, it was consolidated by the catholic church through the creation of human/nature2 dualism, later taken up and reinforced by the exploitative views of Bacon and Descartes. Even if many people – including myself – are not believers and do not support religions, it’s important to remind ourselves the huge cultural influence catholicism had in the last two millennia, which is still unconsciously passed on even by those who oppose religious institutions or holy writings. As Jim Mason states in An Unnatural Order:

[…] Although it cannot be considered the origin in a material sense, Genesis is certainly the origin from a cultural point of view; It is in fact unanimously considered to be the sacred text that stipulates the main right granted by God to humanity, that of absolute dominion over all creation.’

Genesis 1:26: «Then God said, “Let us make mankind in our image, in our likeness, so that they may rule over the fish in the sea and the birds in the sky, over the livestock and all the wild animals, and over all the creatures that move along the ground”»;

Genesis 1:28: «God blessed them and said to them, “Be fruitful and increase in number; fill the earth and subdue it. Rule over the fishes in the sea and the birds in the sky and over every living creature that moves on the ground.”»;

Events such as the Copernican revolution and the Darwin’s theory of evolution radically changed our knowledge, questioning anthropocentric beliefs spreaded by catholicism and challenging the church at a time in history where it had a very powerful influence.

Copernican Revolution                                       According to catholic tales prior to this event, it was said that god created our world at the centre of the Universe, and that at the centre of the Universe dominated man3, the rational being. This vision of the Universe, thanks to various discoveries, was destroyed forever, but it has left a cultural trail.

As we already know, up to six hundreds years ago, humans thought Earth was at the centre of the Universe and Sun, Moon and close planets orbited around it. This vision – called geocentric theory – was mainly thought up by Aristotle and Ptolemy and became the reference model for millennial, being accepted by catholic doctrine. In 1543, the astronomer Nicolaus Copernicus published a text (De Rivolutionibus orbium coelestium) where he elaborated the heliocentric theory, in which he argued that the Earth was just one of the several planets orbiting the Sun, and that the Sun was at the centre of the Universe, concept that would be taken up again the following century by Galileo Galilei. Obviously, the Copernican model came as a bolt out of the blue and did not immediately find consensus in the scientific community and in the catholic church, which condemned Galilei for heresy and abjuration and placed Copernicus’ work on the church’s index of prohibited books, as it questioned the narrative of holy bible, which placed the human being at the centre of everything.

This discovery, which today seems to us to be obvious, revolutionised the understanding that human species had of the the Universe and itself, and challenged the idea that humankind was created to dominate everything from a central position in the Universe.

Darwin’s theory of evolution                            Historically, it can be observed that each discovery about our animality led us to seek new ways of restoring our centrality and superiority, always in different ways. Realising that we are just one species among many others and that the planet and the Universe do not need us seems to be obvious, but as a species we still struggle to accept it. After the social trauma following the studies of Copernicus and Galilei, there was – in the following centuries – another discovery that gave another shock to human society.

In the year 1859, Charles Darwin published a manuscript he called The Origin of Species, which he worked on for two decades. Before scientific revolutions by Copernicus and Darwin, the human species based its concept of nature on a hierarchical reference model called scala naturae – or The great chain of being – and which positioned, on levels of rationality and perfection and from the top downwards: god, angels, humanity, animals, plants and minerals. Darwin destroyed this model, claiming that the human was only one species among milions of species and that our evolution – as well as that of other living organisms – was shaped by what he called natural selection.

Natural selection, despite what some might think, is not ‘the law of the strongest’, but rather the capacity to adaptation. Darwin’s natural selection wasn’t linked by competition thinking. He never used ‘survival of the strongest’, but instead he hightlighted our being animals, pointing out that species are differentiated by degree – or rather different capacities learned according to needs – and not by kind – or rather capacities or characteristics that are present or absent –. This means that animal species always adapted to their needs and their environments, changing and evolving accordingly. Human species may have developed different abilities from other animals as a result of different experiences and different adaptation paths; this does not make automatically species superior to others, but simply different.

Social darwinism  

In order to take advange of Darwin’s theories to support industrial capitalism (which was in its initial stages) and the dominant classes, Darwin’s theory was revised from a social perspective: the term social darwinism was created and it changed the original value of natural selection in the collective imagination, which began to take on the value of the ‘law of the strongest’. The competition plays a fundamental role in capitalism, and social Darwinism raised the idea that force created the right to domination. By deliberately misinterpreting Darwin’s theories, promoters of social darwinism adopted an incorrect meaning of natural selection, declaring that the marginalisation of the poor classes was inevitable as an evolutionary process of natural selection, or by advocating the race ideology which was embraced, for example, by nazi eugenics. However, even though today the social darwinist model lost the influence it previously had, it continues to have a cultural influence on us and in justifying discrimination of class, ethnicity, gender, species and so on.                                                                             

Nietzsche, Freud and rationality                   

We humans often like to claim that we are rational, and for this reason superior to other species, which are not rational.

Nietzsche and Freud dismantled the idea of the rational human being, stating that we are instead governed only partly by rational impulses. Psychoanalysis theorised by Freud helps us to understand how all of us do not consciously control our actions, which are instead influenced by unconscious impulses, sometimes very difficult to understand. Nietzsche’s studies indicate that rationality is only one part of our personality, which is complemented by a series of impulses that are part of our unconscious where thoughts, instincts and emotions control our actions, often without awareness. Rationality is only one piece of our strength, not the main one.

However, in the last year of his life, Nietzsche’s sister altered his works into a kind of ideological nazi bible: selecting, manipulating and publishing fragments of Nietzsche and collecting them in an archive called the Nietzsche-Archive, which portrayed Nietzsche as a seeker of power and unconditional success. Some researchers do not want to relieve Nietzsche of his responsibility for preparing theoretical bases of nazism, but the topic is more complex, and describing Nietzsche as an anti-Semite or as father of nazism is a rash judgement. After his death, thanks to his fame, the idea of the Übermensch (the overman) he theorised was exploited by his sister and nazi Germany to promulgate racial and anti-Semitic ideas, including it into national-socialist propaganda.

What is nature?                                                The term ‘nature’ is often abused to claim that eating other animals is ‘natural’, using a mystification meaning of natural selection similar to what is written above. When human species wants to give value to its discriminating ideas, whether they are speciesist, racist, homophobic, transphobic and so on, it always resorts to this fateful ‘nature’: it is natural to eat animals; it is natural a man and a woman couple and make children; homosexuality is unnatural; changing sex is unnatural and so on.

What is or is not natural is almost always used to maintain strict social binarisms and safeguard privileges. Moreover, this also contributes the anthropocentric view of the environment around us, since nature – as we see it – is indefinable unless it is definable by human and western visions only. Nature is known and experienced in different ways by other cultures in different historical periods and also by non-human cultures4.

«The endless ontological purpose of defining what nature is, is replaced by the political purpose of reporting to whom and for what the continuous recourse to naturalityis needed.5»

The human being is the most intelligent animal As we already mentioned, human being is constantly stubbornly trying to reassert itself as central, constantly seeking a definitive difference between the human species and other species. The need to find new arguments to reconfirm and defend human identity follows everytime the latter is challenged. We saw this with the censorship of the heliocentric theory and the deliberate misrepresentations of Darwinism and Nietzsche’s thought. But these are just examples of how human beings always try to limit the effects of cultural revolutions. For example, we thought human being was the only one capable to use tools. We then found out animals such as birds, invertebrates and other primates also use tools6. Discoveries of this kind challenge the human species’ sense of superiority, so the need to restore it led to assert that human being is the only animal capable of using tools to produce other tools.

This example is part of the debate that the human animal is more intelligent, but this statement is senseless since human beings define the concept of intelligence on human skills, cultures, and knowledge. Our idea of intelligence is corrupted and based on human standard applied on human contexts.

It is not surprising that we consider many animals more intelligent than others by basing our judgment on behaviors similar to those typical of the human species, as it happens for example with some parrots who are able to reproduce the sounds emitted by us – managing also to interact – or in general to domesticated animals who respond to each of our inputs in the way we expect.

The ability to make themselves invisible to predators, to find the right way in a huge forest, to orient themselves through sound waves or to perceive magnetic poles are all demonstrations of intelligence that some animal species have acquired thanks to an evolutionary process different from ours.

Intelligence is commonly described as ‘the ability to solve a problem,’ but instead it is a more complex encounter between different abilities that go beyond logical-mathematical concept: creativity, abstraction, self-awareness, emotionality, planning, problem solving; these change from individual to individual and such differences should be seen – as Darwin would say – differences by degree and not kind. In short, calling someone smarter than someone else is misleading, since in this way we ignore individuals’ personal experiences and other important factors that shape their abilities. Judging an individual (human and non-human) on the basis of a supposed ‘intelligence’ should become – in my opinion – something obsolete.

Human and non-human environments                 We frequently, as a species, define other animals’ intelligence by observing situations in which they behave differently from our expectations, or from what we would do in their position. One of the pioneers of ethology, Jakob von Uexküll, manages to describe this concept in his masterpiece A Foray Into the Worlds of Animals and Humans. In fact, Uexküll points out that each species perceives every object or environment in a unique way through what he calls perceptive marks.

If we – humans – walked in a dungeon, with the right light intensity we would be able to see spider webs above our heads and avoid them with our eyesight, which is not the case with flies, whose perceptive marks make do not allow their eyes to identify the web; in the same way, a sea urchin responds to the darkening of the horizon with a movement of their spines: they will defend themselves against any stimulus, be it a ship, a cloud or a fish. Each species uses different perceptive marks to ‘read’ the environment in which they find themselves, and although it may seem ‘incredible’ to the human eye to watch the behaviours of other animals, this constitutes a normality and an operability projected in their environments.

Moreover, not only the humanisation of other species is a senseless and anthropocentric approach, but it forces each human being into a pre-set intelligence model, ignoring the physical and mental capacities of each individual. Just to give an example, several people claim that we are ‘smarter’ because we can create movies, songs, sculptures and build cars, towers, buildings, cranes and so on, giving for granted that every human being is capable of these activities, but this is not true, since these are subjective skills and cannot necessarily be learned by every individual. Some people will never be able to produce movies, write songs, create sculptures, construct buildings, and this for several reasons due to different experiences and conditions for each individual.

It must also be said that these skills are the result of hundreds of thousands of years of evolutionary process relating to the human species – which evolved in such a way to develop certain knowledges –, and cannot be applied to species that had a different process. The ‘engineering’ complexities, if we can say so, are measured by the subjective view of each species and comparing them with each other is the same as decontextualising them. For example, looking at it from a human perspective, if we compare the complexity of ants’ anthills with a bed of straw, they could be described as superior to pigs, but that would clearly make no sense.

Our way of judging our own and other species indicates that what makes us superior in our eyes is not to be seen in the human skill set, but in human identity itself7. The alleged superiority is based solely on identity, economic and political grounds, similar to the logic behind race and gender discrimination.

Anthropomorphising (or humanising) other animals by calling them ‘less intelligent’ is once again a functional judgement for the assertion of our superiority as adult and able humans, since we would use measurement scales that have as their standard of intelligence that of the adult and able human.

Connections between speciesism and human discriminations                                                 Starting from the concept of intersectionality we can reiterate how different discriminations reinforce each other, bringing out the need to analyse and deal with them without prioritising one to the detriment of another. Intersectionality is still a difficult topic to discuss in some circles, such as in the neo-liberal vegan one. However, even in other circles – such as the anarchist one – deconstruction of speciesism is minimised, arguing that there are more important things to think about.

It is not taken into account – only when talking about speciesism and veganism – that there is no obligation to actively devote oneself to all struggles. I actually doubt that there is anyone who has the time and energy to devote themselves to every single social struggle. However, this does not mean, that we have to justify, or worse, contribute to that kind of discrimination just because we consider our struggle more deserving of attention, perhaps even driven by personalism.

I may not actively participate in the anti-racist struggle, for example, but this will not undermine my personal process of deconstructing racist thinking – which has been indoctrinated by society – and will not justify my racist behaviours. Similarly, not taking an active part in the anti-speciesist struggle should not justify my active and conscious speciesism.

I would like to make it clear that it is not my intention to reinforce my criticism of speciesism by exploiting the link with human struggles, because it is shocking, disgusting and violent in itself, but only to describe how historically and culturally speciesism has influenced and reinforced other oppressions. I want to emphasise how all struggles are interconnected and important in the same way and that only by demolishing every possible hierarchy, and the very concept of hierarchy, we will be able to destroy the ideology of domination.

Animals’ bodies consumption and genders rolesThe link between speciesism and gender roles is so wide-ranging that we could discuss it for days and days without pause8.

Historically, the consumption of animal bodies9 has always been linked to the concept of masculinity and virility. In The Sexual Politics of Meat, Carol J. Adams analyses the different ways of eating and how they serve to maintain a strict gender binarism. For example, roasting animal bodies is the preferred method of males, as it does not change their appearance and maintains a bloody outlook, which suggests ideas of strength, gory scenarios and war; whereas boiling is considered banal, bland and feminine. Red flesh is associated with masculinity, virility, strength, while dairy products are more associated with femininity.

The connection between speciesism and sexism is obvious to anyone when one comes across certain disgusting advertisements: Burger King, FAT shack, Carl’s Jr. are some companies who used female bodies and dismembered non-humans altogether for their advertisements, promoting the objectification of bodies, the definition of a beauty standard and the judgement of what is or is not ‘sexy’10.

A man’s refusal to consume animal products automatically indicates that he is effeminate or homosexual, because it lacks the fundamental part of animal consumption: the part that should support his supposed virility. Veganism, seen from this point of view, is anti-normative and a refusal to conform to heteronormative social rules. Vegan people who define themselves as men therefore become a problem, as they undermine the masculinity and virility of the heterosexual model.

Speciesism and gender roles are also reproduced at the table, in the family. Writer Sara Ahmed reports on her personal experience when she started to be interested in veganism:

«…every meal I would have consumed with my family would have challenged anthropocentric eating habits. Rejecting not so much animal food as much as, worse still, the very mode of being together around the family table. I would have become a party pooper. Not only that, but since my mother would no longer be able to carry out the same ‘female service work’ for me and for the other members of the family, my choice also called into question the hetero-centred order of domestic space.»11

Racism and colonialism                                        Colonialism and its propaganda followed a very specific procedure in the past: to treat some human beings exactly like non-human animals. Africans and natives were denigrated and called ‘pigs’, ‘worms’, ‘monkeys’, ‘rats’. Once the white colonialist succeeded in assigning to them image of wild animals, a few steps down the anthropocentric hierarchical scale, legitimised consequently the same treatment of other species.

Just like sexism and racism, speciesism is created on a dualism between a dominant group and a dominated group, proper to justify the domination of one over the other and then claiming that it is the natural order of things, following a logic based on a presumed biological and/or anatomical differences; racism is the result of a white supremacist theory, just as speciesism is the result of a human supremacist theory. White europeans thought black people did not wish for freedom or other needs/desires which were prerogatives of white europeans. We can say the same thing about the way non-human animals imprisoned in farms, in zoos or in other places are perceived and treated.

Even though I said that speciesism, like racism is based on biological topics, I would like to focus on this aspect for a moment, because I do not consider it to be completely correct. Racism, just like speciesism, is not only based on alleged biological differences, but also and above all on economic and political topics. Just as the ruling classes needed the enslavement and subordination of non-white people to expand and maintain their power, so current capitalism needs the speciesism and subordination of non-human animals – and humans in plundered countries – to maintain its status quo.

Classism and capitalism                                        The development of capitalism, or rather the economic conception and exploitation of bodies, probably started around the years of the agricultural revolution, a period in which the human species began to control plants and other animals.

The term capitalism is derived from caput (head of cattle), indicating the fact that non-human animals were one of the first goods of exchange in the economy after the agricultural revolution. Domestication of cows12 for farming and horses13 for travel and fighting were fundamental for colonial expansion; just as the slaughtering processes of the early 1900s helped the development of industrial capitalism: Henry Ford spoke of the link between his assembly chain, the first of its kind in industry, and the disassembly chain he saw in a slaughterhouse he visited in Chicago, which he took inspiration from14.

During the industrialisation process of Europe, among the english privileged classes in England, the consumption of animal bodies became a tool to manifest a certain social rank and privilege: «The political influence of a man depended to a not insignificant extent on his ability to attract influential people to his table. At the lords’ table, meat was a political and social tool which suggested the rank and status of the diners. The most important diners were always served first, then the others were served according to rank, and so on. The best cuts of meat were reserved for the first ones to be served; the less cuts were distributed according to strictly hierarchical criteria. […] While the rich gorged themselves on meat, the poor, practically excluded from the meat diet until 19th century, were content with what the english called ‘white meat’: cheese, milk, butter and other dairy products. Between rich and poor, there was an increasingly working class and an increasingly wealthy and powerful bourgeoisie who aspired to the carnivorous customs of the nobility.15»

Even today, meat has acquired the status symbol of economic prosperity: Countries with continuous economic growth are characterised of increased consumption of animal bodies16.

Ethical exploitation       

Ethical livestocks or happy meat is an underhanded and deceptive mechanism by the industry to persuade those individuals who care about animal welfare17. Not only that, but consumers also use this topic to deceive themselves, so that they can continue to consume animal products undisturbed, making a kind of compromise with their conscience and hiding behind hypocritical loopholes. These individuals convince themselves to choose a more ethical and greener path, and they consider the violence of animal exploitation only for the modalities of exploitation and death. In their eyes, it seems more respectful than intensive farming, and at the same time they are not interested in the biological and social needs of other animals, whose only purpose is to be bred and raised to satisfy human desires and purposes.

Utilitarianism and necessary’ sacrifices               The western person is horrified by the reports of sacrifices of non-humans by some non-civilised societies, defined ‘barbaric’ and ‘retrograde’ societies, forgetting that the West does the same exact thing, only in a manner that is ‘appropriate’ and supported by a large part of the scientific and non-scientific community. From the breeding of animals for supermarkets to vivisection18, the sacrifice of other species is useful for human purposes.

Speaking of vivisection, many people agree with experimenting on other animals for three simple reasons:

1) the experiments are executed on others, not on them;               2) the subjects are animals considered inferior and less deserving of life than the human species;                                                              3) animal experimentation is useful.

This last point is more provocative than anything else, because I have no intention of debating the usefulness or uselessness of scientific experimentation on other species, because I do not believe that the usefulness of an action can justify the systematic oppression of the bodies and minds of others. According to the logic of utilitarianism, as long as a sacrifice – again, on others, and not on ourselves – is useful, or at least there is a possibility that it may be, then it is ethically justified. Clearly, experimentation on humans would be more successful, but it would make anyone shudder, at least until it is proved to be the only or most appropriate way to guarantee the ‘common good’19. In vivisection, the only requirements that must be met in order to exercise control over bodies are the utility and beneficial effects of such sacrifices for the community.

Anti-speciesism rejects non-consensual experimentation, exploitation and use of any-body, regardless of whether these practices are beneficial or not.

Freeganism illusion                                      I can simply describe freeganism saying that it is a ‘passive anti-capitalist lifestyle’ adopted to try to live with as little money as possible. Some examples: taking public transport without a ticket, shoplifting, occupying abandoned places (or squatting), retrieving objects or food from dumpsters (or dumpster-diving)… I want to focus on the latter, in particular on food recovery. My thoughts are not directed at people who do not have the privilege of choosing what to discard from the bins, but to all those individuals and groups who can afford it but who, for one reason or another, refuse to do so.

In political places, from city squats to occupied forests, the recovery of animal’s bodies and secretions is often subject of debates. Basically there are people who identify themselves as supporters of anti-speciesist and anti-anthropocentric struggle, but who continue to consume animal products recovered from bins, claiming that if the recovered products are not taken by money, then they are not contributing economically to their production.

This logic leads us into two misunderstandings:                                 1) the consumerist one, because it believes that a (non-targeted) boycott of a product leads to a decrease in its production, forgetting that the surplus itself is specifically created by the food industry to continuously stimulate the circulation of supply and demand20. Moreover the abstention from the consumption of certain products is seen as a simple boycott practice and not as a radical social critique;                                                                                               2) the speciesist one, because it considers other animals as consumable. Recovering bodies or secretions from the dumpster means to reject anti-speciesist critique, thus reinforcing speciesism and the idea that non-human animals can be consumed, which would never happen with human bodies or secretions, because something outer our western culture. Speciesism has certainly been supported by capitalism, but believing that will disappear with the fall of the economic system, rather than with ideological deconstruction of speciesism, reveals an argument completely off track21.

Animal resistance                                                 The places where non-human animals are imprisoned and enslaved have many similarities with how the human prison system works: imprisonment, deprivation of freedom, control and alienation are all acts used to completely annihilate someone’s individuality.

As it happens with human prisons, this is the case with breeding farms, circuses, vivisection laboratories, zoos and so on. It is easy to find material on non-human resistance, even if the material that can be found is to be considered only a small part of what is happening with non-human resistance, as many rebellions are silenced and not showed. By showing and watching these testimonies it is possible to listen directly to those who are protagonists of this struggle through a universal language: resistance.

Enslaved non-human animals are constantly trying to rebel and resist their oppressors, but most of the times they fail and if they succeed in escaping they are took back to those places. This happens because the environment they face after escaping is made on human model and needs. Wherever they escape, in any case, they will be under human control, and the state apparatus will organize itself to drive them out and ‘reintegrate’ them in the places they escaped from. Mention should also be made of the way in which public opinion reacts to when non-human animals escape from those places: expressions such as ‘crazy bull’ or ‘dangerous wild boar’ minimise their intent and are efficient to ridicule their fugitive status, scare the population and justify their killing or capture, in order to segregate these individuals again and re-establish normality and ‘safety’.

Some non-human animals that were enslaved now live in shelters (commonly called anti-speciesist or vegan sanctuaries)22. Even if sanctuaries’ projects sound exciting, it has to be said that we are talking about animals that have (probably indelible) traumas due to their past conditions. Knowing the background of each animal and witnessing their personal evolution day after day is an experience that can teach us a lot about animality and shed a light on our paternalistic and selfish way of relating to other species.

As already mentioned, non-human animals cannot escape, because once they escape they find themselves in an environment constructed, known and managed by the same species that legitimises their oppression. But sometimes it happens that some individuals, or groups of individuals, manage to escape and find their own independence. This is the case of the Rebel Cows23 living in Liguria, Italy. This herd of cows has suffered over the years a cowhunt by several hunting squadrons whose aim was to shoot them because they were considered dangerous: objective failed, the herd has always managed to escape.

The actions of other species in avoiding captivity and pain alone should highlight that all animals have common basic needs and desires and that our perception of other species is just a vision produced by millennia of human propaganda.

The indivisible bond between anarchism and anti-speciesism                                                       At this point we can see that anarchism without anti-speciesism, or anti-speciesism without anarchism, would constitute an incomplete social and political analysis24.                                                        Anti-speciesism aims to destroy species hierarchies, aiming at the liberation of all animals. However, it cannot be animal liberation within the capitalist system and without a deconstruction of the hierarchies in our minds. And this is where anarchist praxis comes in.

Anarchism aims to destroy oppressive hierarchies, to analyse and deconstruct the ideology of power in order to destroy the physical and legal devices and organise a new society based on horizontal organisation, solidarity, mutual aid and cooperation.       

But as long as we see other species and the ecosystem through the eyes of those who want to subjugate and dominate them, it will not be possible to deconstruct the ideology of domination that we have internalised. So the road towards anarchy must necessarily involve both anarchist praxis and anti-speciesist analysis. When it is said ‘we are not free until everyone is free‘ we should consider in this ‘everyone’ also the involvement of the other species and the ecosystem, because either liberation will be total, for all, or it will not be.

Taro Colocasia

Notes                                                                  [1] The human being actually originates from the primate family and is defined by the anthropologist Jared Diamond as the third chimpanzee, after the bonobo and the common chimpanzee.

[2] This can be interesting: The historical roots of our ecological crisishttps://www.cmu.ca/faculty/gmatties/lynnwhiterootsofcrisis.pdf.

[3] I say literally ‘man’ because the anthropocentric vision was (and is) often accompanied by a patriarchal vision.

[4] I recommend two articles by Jon Lieff: Animal Cultures(https://jonlieffmd.com/blog/animal-cultures) and Many animals know how to self-medicate (https://jonlieffmd.com/category/blog/animals).

[5] Quote by the philosopher Massimo Filippi.

[6] The tools animal use: https://www.nationalgeographic.com/magazine/graphics/animal-tools.

[7] In this case, the human identity referred to coincides with the model of the adult, healthy and able individual.

[8] I strongly recommend the following readings: Patriarchy and speciesism (https://medium.com/@antispeciesistactioncollective/patriarchy-and-speciesism-ef9e5ab22291) and The Impact of Masculinity on the Animal Liberation Movement (https://www.academia.edu/34034926/The_Impact_of_Masculinity_on_the_Animal_Liberation_Movement).

[9] I use animal bodies to break the distance we established between what we eat and who we eat.

[10] The internet is full of examples, but here some of them byCarl’s Jr.(https://i.pinimg.com/originals/f8/0a/12/f80a12808fd694950233cb317f7a9647.jpg) and Burger King(https://i.pinimg.com/originals/91/81/8e/91818e0c41f3337f06fc88e2819a3be1.png).

[11] Simonsen R.R., A Queer Vegan Manifesto, 2012, p. 31-32.

[12] In Beyond Beef: The Rise and Fall of the Cattle Culture, Jeremy Rifkin examines how cattle were subjugated to create the foundations of today’s west, and in particular to drive the colonisation of America.

[13] See Diamond J., Guns, Germs, and Steel: The fates of Human societies, 2005, p. 66-67 andKurgan theory (or Steppe theory): https://en.wikipedia.org/wiki/Kurgan_hypothesis.

[14] What Henry Ford learned from a slaughterhouse: http://www.mstaires.com/what-henry-ford-learned-from-a-slaughter-house/.

[15] Rifkin J., Beyond Beef: The Rise and Fall of the Cattle Culture, 1992, p. 67-68.

[16] Read more about the relationship between flesh consumption and GDP per capita: https://www.sydney.edu.au/news-opinion/news/2021/12/07/new-data-shows-6-countries-have-hit-their-meat-consumption-peak.html.

[17] Today, the term animal welfare is used to refer to welfarism driven by neo-liberal animal rights activists who aim to improve cages, methods of imprisonment and killing by improving cages and practices by reforming the laws, thus falling into the speciesist and legalitarian logic of animal welfare.

[18] The scientific community continues to maintain a fundamental difference between vivisection and experimentation, declaring that ‘vivisection’ is a cruel and obsolete practice that consists in dissecting living individuals, thus trying to create a distance between cruel practices (vivisection) and less cruel but useful practices for humanity (experimentation). However, I reject this linguistic difference as pointless and misleading and decide to consciously use the term vivisection. To put it another way, in the words of Massimo Filippi: ‘would we engage in such semantic battles if we were dealing with the suffering and death of humans? Would we spend our time deciding whether it is better to use the term ‘torture’ or ‘particularly violent interrogation’?”.

[19] Among the many historical events, mention should be made of the experiments on humans carried out by nazi doctors such as Mengele and Wirths or the Balmis expedition in the 19th century: where 22 orphaned children were used as live carriers of the smallpox vaccine to distribute it in Latin America and the Philippines.

[20] The supply-demand paradigm nowadays is an extremely complex mechanism, so I don’t want to say that boycott is a priori useless, but that a change in consumption alone is not enough to bring about positive change. Therefore, when we talk about freeganism or boycotts, I personally believe that it is important to clear our judgement from the pure economic concept.

[21] One only has to research rural communities that try to live according to the principles of self-sufficiency and permaculture to see that most of them use non-human animals in their practices.

[22] Anti-speciesist sanctuaries/shelters are places that someone may at first glance mistake for farms, but which function differently, offering refuge to animals who are victims of speciesism (especially by livestock industry), respecting their ethology and individuality, without any kind of exploitation. This means that in a sanctuary we don’t see other animals as products or production machines, but let them live respecting their spaces and needs. Anti-speciesist sanctuaries must not be seen as a solution, but as a transition compromise from a speciesist society to a non-speciesist one. You can easily search for anti-speciesist sanctuaries near your home.

[23] Read more about the herd of ‘rebel cows’ has been living wildly in the Italian mountains for years:https://www.thelocal.it/20170619/a-herd-of-rebel-cows-has-been-living-wildly-in-the-italian-mountains-for-years/.

[24] A radical response to non-vegan anarchists: https://theanarchistlibrary.org/library/biting-back-a-radical-response-to-non-vegan-anarchists.

Recommended readings

Brian A.D., Animal Liberation and Social Revolution, 1995;

Sarat C., Animal Resistance in the Global Capitalist Era, 2020;

Steven B., The Politics of Total Liberation: Revolution for the 21st Century, 2014;

Uexküll J., A Foray Into the Worlds of Animals and Humans, 1934(first edition);

Rifkin J., Beyond Beef: The Rise and Fall of the Cattle Culture, 1992;

Mason J., An Unnatural Order: the roots of our destruction of nature, 1993;

Carol J. A., The Sexual Politics of Meat: A Feminist- Vegetarian Critical Theory, 1990 (first edition);

Aph K., Syl K., Aphro-ism: Essays on Pop Culture, Feminism, and Black Veganism, 2017;

Rasmus R. S., A Queer Vegan Manifesto, 2012;

Anonymous, Total Liberation, 2019 (https://theanarchistlibrary.org/library/total-liberation-anonymous-english);