Testo tradotto da: https://mars-infos.org/remise-des-diplomes-agroparistech-6366
Nel corso della loro cerimonia di laurea, otto giovani ingegneri di AgroParisTech hanno invitato loro compagni di laurea a disertare i loro incarichi. «Non attendiamo il 12esimo rapporto del GIEC che mostrerà che gli Stati e le multinazionali non hanno mai fatto altro che aggravare i problemi e che metterà le sue ultime speranze nelle rivolte popolari. Potete cambiare direzione adesso».
Di seguito il testo letto dai laureati.
I/le diplomati/e del 2022 sono qui riuniti un’ultima volta dopo tre o quattro anni a AgroParisTech. Siamo numerosi a non voler far finta di essere fieri e meritevoli d’ottenere questo diploma … di una formazione che ci spinge nel complesso a partecipare ai danni sociali e ambientali in corso. Noi non ci consideriamo affatto come i “Talenti di un pianeta sostenibile” [nuovo slogan di AgroParisTech].
Noi non vediamo i danni ecologici e sociali come “sfide” o “problemi” a cui noi dovremmo trovare delle “soluzioni” in quanto ingegneri.
Noi non crediamo di aver bisogno di “tutte le agricolture”.
Noi vediamo piuttosto che l’agro-industria conduce una guerra al vivente e al mondo contadino [paysannerie nell’originale, ndt] ovunque sulla terra.
Non vediamo le scienze e le tecniche come neutrali e apolitiche. Noi pensiamo che l’innovazione tecnologica e le start-up non servano a nient’altro che al capitalismo.
Noi non crediamo allo sviluppo sostenibile, né alla crescita verde, né alla “transizione ecologica”, un’espressione che sottintende che la società potrà divenire sostenibile senza che ci si sbarazzi dell’ordine sociale dominante.
AgroParisTech forma ogni anno centinaia di studenti per lavorare per l’industria in diverse maniere:
– trafficare in laboratori di piante per multinazionali che rafforzano l’asservimento delle agricoltrici e degli agricoltori,
– progettare dei piatti preparati e delle chemioterapie per guarire successivamente le malattie causate,
– inventare delle etichette “buona coscienza” per permettere ai dirigenti di credersi eroici nel mangiar meglio degli altri,
– sviluppare delle energie dette verdi che permettono di accelerare la digitalizzazione della società tutta, inquinando e sfruttando l’altra parte del mondo,
– sfornare dei rapporti RSE [rapport de Responsabilité Sociale d’Entreprise, rapporti di responsabilità sociale d’impresa, ndt] sempre più lunghi e deliranti man mano che i crimini che essi nascondono diventano scandalosi, o ancora contare delle rane e delle farfalle affinché le betoniere possano farli sparire legalmente,
Ai nostri occhi questi mestieri sono distruttori e sceglierli significa nuocere, servendo gli interessi di alcuni.
Eppure sono questi sbocchi che ci sono stati presentati durante tutto il nostro corso a AgroParisTech. Al contrario, non ci è mai stato parlato dei diplomati che considerano che questi mestieri fanno ulteriormente parte dei problemi, piuttosto che delle soluzioni e che hanno scelto di disertare.
Noi ci rivolgiamo a quelli che dubitano:
a voi che avete accettato un lavoro perché “ci vuole per forza una prima esperienza”, a voi i cui genitori lavorano per perpetuare il sistema, e che sentite il peso del loro sguardo sulle vostre scelte professionali, a voi che, seduti dietro una scrivania, guardate attraverso la finestra in cerca di spazio e di libertà, voi che prendete il TGV ogni week-end, alla ricerca di un benessere mai trovato, a voi che vi sentite in preda a un malessere a cui non potete dare un nome, che trovate spesso che questo mondo sia folle, che avete intenzione di fare qualcosa ma non sapete affatto cosa, o che avete provato a cambiare le cose dall’interno e non ci credete già più.
Vi vogliamo dire che non siete soli a trovare che c’è qualcosa che non va, perché c’è veramente qualcosa che non va.
Abbiamo dubitato, e dubitiamo a volte ancora. Ma ci rifiutiamo di servire questo sistema e abbiamo scelto di cercare altre vie, di costruire i nostri percorsi.
Com’è che è cominciato?
Abbiamo incontrato delle persone che lottavano e le abbiamo seguite sui loro terreni di lotta. Ci hanno fatto vedere il rovescio dei progetti che avremmo potuto portare avanti in quanto ingegneri.
Penso a Cristiana ed Emmanuel, che vedono il cemento colare sui loro terreni sull’altopiano di Saclay.
O a quel buco secco, compensazione irrisoria a un lago pieno di tritoni, e a Nico, che vede dal suo grattacielo i giardini popolari della sua infanzia rasi al suolo per la costruzione di un ecoquartiere.
Qua e là, abbiamo incontrato delle persone che sperimentano altri modi di vita, che si riappropriano dei saperi e dei saper-fare per non dipendere più dal monopolio di industrie inquinanti, delle persone che comprendono il loro territorio per vivere di esso senza consumarlo, che lottano attivamente contro dei progetti nocivi, che praticano quotidianamente un’ecologia popolare, decoloniale e femminista, che trovano il tempo di vivere bene e di prendersi cura gli uni e le une degli altri/e.
Tutti questi incontri ci hanno ispirati/e a immaginare le nostre proprie vie: io mi sto dedicando all’apicultura nel Dauphinè. Abito da due anni nella ZAD di Notre Dame des Landes dove faccio dell’agricoltura collettiva e per l’autoconsumo [vivrière nell’originale, ndt], tra le altre cose. Mi sono unito al movimento dei Soulèvements de le terre per lottare contro l’accaparramento e la cementificazione delle terre agricole in tutta la Francia.
Vivo nella montagna dove ho fatto un lavoro stagionale e mi sto dedicando al disegno. Ci stiamo stabilendo collettivamente nel Tarn, in una fattoria delle Terre dei Legami [associazione francese che si propone la preservazione delle terre agricole, aiutando chi vuole darsi all’agricoltura], con un contadino-panettiere, dei birrai e degli arboricoltori.
Mi impegno contro il nucleare a Bure.
Mi formo oggi per stabilirmi domani e lavorare con le mie mani.
Riteniamo che questi modi di vivere siano più che necessari e noi sappiamo che ci rendono più forti e più felici.
Avete paura di fare un passo di lato perché non farà una bella impressione sul vostro CV? Di allontanarvi dalla vostra famiglia e dalla vostra rete di conoscenze?
Di privarvi del riconoscimento che vi garantirà una carriera di ingegnere agricolo?
Ma quale tipo di vita vogliamo?
Un padrone cinico, un salario che ci permetta di prendere l’aereo, un mutuo sui trent’anni per una villetta, solamente 5 settimane in un anno per respirare con una gita insolita, un SUV elettrico, uno smartphone e una carta di fedeltà della Biocoop?
E poi.. un burn-out a quarant’anni?
Non perdiamo il nostro tempo!
E soprattutto non lasciamoci scappare questa energia che ribolle da qualche parte in noi! Disertiamo prima di essere incastrati da obblighi finanziari.
Non attendiamo che i nostri bambini ci chiedano dei soldi per fare shopping nel metaverso, perché noi avremo perso il tempo per farli sognare qualcos’altro.
Non attendiamo di essere incapaci d’altro che non sia una pseudo-riconversione allo stesso lavoro, ma riverniciato di verde.
Non attendiamo il 12esimo rapporto del GIEC [Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat, Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico, ndt] che mostrerà che gli Stati e le multinazionali non hanno mai fatto altro che aggravare i problemi e che metterà le sue ultime speranze nelle rivolte popolari.
Potete cambiare direzione adesso.
Iniziare una formazione di contadino-panificatore, partire per qualche mese di woofing, partecipare a un progetto in una ZAD o altrove, dedicarvi a una ciclofficina autogestita, o unirvi a un week-end di lotta con i Soulèvementes de la Terre. Potrebbe cominciare così.
Sta a voi trovare i modi di una vostra svolta.