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Comunicato di Tiphaine Lagarde sul collettivo e il santuario 269 Libération Animale

foto in copertina di Lucie Aragon

 

 

Traduciamo e diffondiamo il comunicato di Tiphaine Lagarde sulla situazione attuale del collettivo 269 Libération Animale e il rifugio Sanctuaire Libération Animale.

fonte: Communiqué de Tiphaine Lagarde co-fondatrice du collectif et sanctuaire 269 L.A.

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A Poupou, Lydia, Amal e Nour.

Senza dimenticare, senza perdonare.

«Quando sei dentro una storia d’amore, è proprio così: il bozzolo, quella cosa spessa che si crea in pochi minuti, appiccicosa, morbida, setosa ma opaca. Da dentro non si vede nulla: si sente, si è attaccati alla carne delle storie, ci si vegeta dentro, la pianta della nostra vita può essere divorata, devastata – ci si nutre del disastro, non se ne esce.»

(Virginie Despentes)

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PROLOGO

Questa dichiarazione è l’arma che ho scelto per “reagire” dopo mesi di sofferenze, traumi e ingiustizie strazianti che mi hanno lasciata in un perenne stato di shock. Viene pubblicata come difesa dalla situazione di dominio a cui siamo sottopost* io e i/le mie* compagn*, vittime di una presa di potere autoritaria e violenta da parte di Ceylan Cirik. Quest’ultimo si è appropriato illegalmente del popolo animale che abita il rifugio e dell’uso esclusivo del sito dell’associazione “Sanctuary Animal Liberation” di cui io e lui siamo co-presidenti. Dalla sua creazione nel 2016, ho lavorato ogni giorno per il nostro santuario, sia concretamente partecipando alle attività quotidiane (alimentazione, pulizia, gestione amministrativa, cure veterinarie) ma anche in modo più “invisibile” lottando affinché gli animali fossero al sicuro dal D.D.D.P. [1] e da tutte le autorità che li minacciano, affinché possa irradiarsi come un vero e proprio luogo di lotta supportato da una potente teoria politica e sostenuto dall’accoglienza regolare di compagn* che condividono la stessa visione di un antispecismo del qui e ora, affinché possa evolversi e accogliere nuov* fuggiasch* grazie a vari progetti finanziati da cucine ed eventi di solidarietà. Questo luogo si è sempre basato su una complementarietà e complicità tra me e Ceylan Cirik, aiutati in questa lotta quotidiana da amic* che, da molti anni, si sono impegnat* al nostro fianco.

Ma tradendo tutti quegli sforzi e quei legami preziosi, ha finito per trasformare i nostri ideali in macerie e i nostri sogni in rovine. Ma non esiste una storia silenziosa, per quanto la bruciamo, la spezziamo, la inganniamo, essa si rifiuta di essere imbavagliata ed è tempo di raccontare ciò che accade. Prima del suo ritorno in forze a metà novembre 2022, Ceylan Cirik ha abbandonato il santuario senza preavviso per quasi tre mesi, lasciandomi, da un giorno all’altro, sola con gli animali senza degnarsi di fornire la minima spiegazione dopo sette anni di vita e di lotta insieme. Le sue recenti azioni, che rivelano tutta la perversità del procedimento utilizzato, mi spingono a uscire dal silenzio perché la situazione risulta grave: ha infatti appena creato una nuova associazione domiciliata in Belgio (chiamata “Terre de roses”) con l’aiuto di due sostenitrici/ori/*. E insieme, attraverso questa organizzazione colonizzatrice e oppressiva, stanno occupando i terreni affittati dall’associazione “Sanctuaire Libération Animale” in barba ai termini del contratto di affitto rurale che ci era stato concesso – mettendo così gli animali in serio pericolo – e stanno brutalmente e crudelmente eliminando me e tutti gli ex membri dell’associazione dalla storia di questo luogo, pubblicando un resoconto totalmente falso e surrealista sui social network (ad esempio, uno degli associati di questa organizzazione parassitaria dice di aver “creato” o “rilevato” un santuario… Questo è un abominio fraudolento quando tutti sanno che il santuario esiste dal 2019). Ceylan Cirik e i suoi alleati hanno messo gli animali che vivono lì al centro di un’infame questione di dominio e potere, hanno danneggiato le attrezzature dell’associazione e cancellato tutte le memorie collettive e intime. Si sono pres* il merito dell’immenso lavoro fatto per far sopravvivere questa terra ospitante per tanti anni e hanno gradualmente installato un clima di terrore e violenza tale sul sito che né io, né l* ex compagn* aggredit* da Ceylan Cirik da novembre, possiamo accedervi senza temere per la nostra vita. Eppure ho organizzato e guidato con lui la liberazione della maggior parte degli animali del santuario, mi sono presa cura di loro ogni giorno, abbiamo formato una famiglia e abbiamo attraversato molte prove insieme; e oggi sono privata di tutti i miei diritti e mi trovo nell’impossibilità di assumermi le mie responsabilità nei loro confronti.

Spingendo l’orrore ancora più in là, Ceylan Cirik ha annunciato che si dissocia dal collettivo “269 Libération Animale”, che ha co-creato, sostenuto e difeso con me per sette anni, e questo dopo tutte le azioni dirette che lui e io abbiamo organizzato, costruito e rischiato sotto questo nome… E la cosa peggiore è che sta cercando di legittimare il suo tradimento e la sua opera di distruzione usando parole diffamatorie e fuorvianti contro il collettivo (perché dal 2019 e su mia iniziativa, il collettivo che rivendica le azioni dirette è scisso dall’associazione che gestisce il santuario, per proteggere gli animali in caso di arresto e condanna, e per evitare che io e lui veniamo riconosciut* come organizzatori/trici/* responsabili agli occhi della giustizia): accusa infatti “269 Libération Animale” di essere “sionista”! Un’accusa del tutto surreale che si riferisce senza dubbio alle origini israeliane del movimento “269 Life”, anche se quest’ultimo, pur essendo problematico sotto molti aspetti, non ha mai affermato di difendere il sionismo. Si tratta di una grave scorciatoia, di una manovra ipocrita e vigliacca, mentre tutta la nostra evoluzione, fin dalle prime manifestazioni di piazza del 2015, è stata costruita proprio sulla scissione con le basi ideologiche e le pratiche di lotta del movimento “269 Life”, e abbiamo sia pubblicato che firmato un comunicato per spiegarlo. Il nostro collettivo si è distinto proprio per la promozione di un antispecismo politico di sinistra che si concretizza in azioni rivolte alle strutture capitalistiche, un discorso intersezionale difeso in molteplici conferenze e testi, e non abbiamo mai nascosto la nostra simpatia e solidarietà con le lotte decoloniali che sono, peraltro, fonti di ispirazione costante per la teoria antispecista portata avanti da 269 Libération Animale. È dunque Ceylan Cirik a soffrire di un’improvvisa amnesia nel pronunciare queste sciocchezze o sta semplicemente dimostrando una malafede che sfiora il ridicolo? Come non urlare di fronte a un tale disprezzo per tutt* l* attivist* che da sette anni rischiano con noi, si fidano di noi e credono nella strategia che abbiamo adottato? Egli fa di tutto per negare e denigrare tutti i progressi che, dalle azioni di strada davanti alle sedi centrali ai blocchi e alle liberazioni, hanno fatto la storia di “269 Libération Animale”: 42 azioni dirette realizzate, 1560 animali liberati, e complicità forgiate in tutta Europa.

Questo lungo comunicato, preparato nel corso di settimane, vuole informare dettagliatamente su questa situazione (ed era impossibile per me farlo in poche frasi), voglio sollevare il velo sul comportamento di Ceylan Cirik dopo anni di silenzio e soprattutto affrontare il futuro del collettivo e del santuario.

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I – CONSIDERAZIONE

Potrei iniziare questo testo con uno sconvolgente “Caro stronzo”, diretto ed efficace come un titolo di Virginie Despentes, perché in fondo non ci sarebbe nulla di male a dare una bella pugnalata al mito dell’eroe virile e dire la verità, per quanto brutta e deludente possa essere; ma questa forse non è una forma abbastanza seria, adatta a raccontare e denunciare una terribile storia di dominio che oggi mette in pericolo il futuro del collettivo “269 Libération Animale” e del suo santuario.

Una storia che spero si concluda con la liberazione, mia ma anche de* mie* compagn* animali e umani. Perché nonostante l’infinito dolore e l’ingiustizia subìta, lotterò con tutte le mie forze insieme a loro affinché tutto ciò che è stato costruito e realizzato, a costo di tanti sforzi e condanne, continui; affinché gli animali liberati possano sopravvivere in un vero luogo di lotta circondati dall* loro car*; affinché questa potente alleanza di teoria e pratica radicale che ha fatto 269 Libération Animale continui a lungo a propagare il gusto dell’azione diretta, a ispirare un antispecismo politico e rivoluzionario, a federare l* complici al di là delle frontiere e a sfondare le porte dei macelli.

In gola le parole sono amare, mi scorticano ed escono rauche di una tristezza che non si può dire. Questo collettivo e il suo santuario, uniti sotto il nome di “269 Libération Animale”, dal 2016 hanno dato a tant* compagn* la forza di superare se stess*, l* hanno ispirat* e hanno sconvolto le loro certezze. Le parole gridate al megafono o trasmesse attraverso i nostri strumenti editoriali hanno fatto sì che centinaia di persone si alzassero in piedi e, per la prima volta, usassero il proprio corpo per combattere a fianco degli animali. Questo fuoco che hanno acceso è prezioso, è una speranza che è stata dimostrata ancora una volta durante le ultime azioni, che si tratti del blocco del macello di Bocholt o dell’operazione Rose che ha permesso la liberazione di cinque maiali. È imperdonabile cercare di distruggere tutto questo, di infangare questo percorso, appropriandosi della notorietà ereditata da questo nome. Quella che stiamo vivendo è una prova che io e i/le mie* compagn* dobbiamo affrontare per ricostruire più di un santuario. I legami che abbiamo stretto tra di noi durante questo incubo, come quell* che resistono con gli animali, sono il collante di tutto ciò che verrà costruito in seguito. Certo, è difficile, crudele e rivoltante, ma vogliamo guardare avanti. Ci attende un grande destino che sconvolgerà tutt* coloro che incroceranno il nostro cammino, perché la ferita è così profonda che la rabbia che ne scaturirà potrebbe far tremare i muri dei mattatoi. Ogni dolore, ogni ferita che ci infligge, ne faremo un’arma per il futuro.

Da dove inizio a raccontare ciò che sta accadendo a me e all* mie* compagn*? Il resoconto è agghiacciante come le parole sul mio certificato medico: “quattro giorni di ITT” [2]. Sì, ho trascorso il primo giorno di questo nuovo anno in gendarmeria, poi al pronto soccorso dell’ospedale, e purtroppo non per un’azione diretta sulla quale saremmo stat* interrogat*, ma per l’ennesimo episodio di violenza subìta proprio nel luogo che dovrebbe combatterla. Domenica 1 gennaio 2023, Ceylan Cirik mi ha colpita al volto, ha minacciato di uccidermi, ha rotto il mio telefono e ha buttato a terra me e mia sorella mentre stavamo silenziosamente, quasi in punta di piedi, dando del fieno agli animali del santuario. In effetti, non posso più andare liberamente al mio santuario, e soprattutto non da sola, essendo stata molestata, umiliata, aggredita fisicamente e verbalmente e minacciata di morte ogni volta che sono andata.

Scacciata con la forza da questo luogo che ho immaginato e costruito con lui, mi ritrovo clandestina mio malgrado, anche se sono comproprietaria dell’affitto rurale.

Sono passati tre mesi da quando ho sentito gli zoccoli delle care pecorelle sferragliare come una “vendetta al galoppo” mentre cavalcavano spingendo le nuvole alla fine della strada. Eppure questo piccolo suono vuoto è vitale per me, è il promemoria permanente che i rischi presi non sono stati vani, che i legami e le complicità così singolarmente forgiati nell’attivismo resistono e che c’è un urgente bisogno di continuare la lotta. La mancanza che sento a volte mi impedisce persino di respirare. Mi sveglio ogni giorno in questo incubo con la sensazione che questa vita pazientemente costruita sia stata distrutta a mia insaputa. Niente fa più male della separazione dalla mia famiglia. Il silenzio che invade la mia vita quotidiana genera un’angoscia che mi si annida nel petto come una mano che si chiude intorno al cuore.

Lo spiegherò in dettaglio più avanti nel testo, ma l* compagn* e io abbiamo gestito collettivamente il luogo durante l’assenza (che doveva essere definitiva) di Ceylan Cirik; e progressivamente, prima con dolore e urgenza, poi con entusiasmo, abbiamo sperimentato una messa in comune di pensieri e competenze. Abbiamo aperto il campo delle possibilità per trasformare “269 Libération Animale” in una vera e propria avventura collettiva. Purtroppo, la storia della nostra gioiosa ricostruzione si è interrotta bruscamente tre mesi fa con il suo ritorno. Da allora, Ceylan Cirik mi sta rubando la vita, la mia energia, la mia forza, la mia salute, la mia capacità di agire, di immaginare e di scrivere; si sta appropriando, distruggendoli, di tutti gli sforzi e del lavoro fatto per creare questo santuario e per federare intorno a sé un intero gruppo di compagn*.

Spinge l’orrore del tradimento intimo e politico fino al punto di usare spudoratamente il nome Terre de roses [ndt terra delle rose] (a cui si è premurato di aggiungere una “s”, ovviamente) come nome della sua nuova associazione. Un bel nome che avevamo scelto insieme nell’estate del 2021, in riferimento al nome poetico del Kurdistan e alla nostra compagna Rose, per l’associazione creata con due car* compagn* italian* che avevano finanziato un nuovo campo per gli animali. Un progetto enorme, preparato fin dall’inizio del 2021, che lui ha rovinato in due secondi per una ferita all’ego, un ennesimo capriccio autoritario, incapace di mettersi in discussione fino all’assurdo; lasciando quest* generos* compagn* italian* con un pezzo di terra tra le mani perché il re non lo voleva più. Sì, lui è da tempo il dominatore che organizza le leggi del gioco per poter esercitare il suo potere senza limitazioni, per poter esercitare la sua volontà senza ostacoli e per poter godere della sua brutalità senza che la controparte possa opporre resistenza. Nel perenne desiderio di cancellarmi, ha trasformato la nostra relazione in una guerra civile, ha distrutto tutti i ricordi e le tracce di me che si trovavano nel santuario, e ora, come ultimo affronto, ha queste pareti scorticate e ricoperte di iscrizioni di persone che non hanno mai partecipato alla storia di questo luogo. Non mi viene nemmeno detto che gli animali sono morti, come se il nostro passato comune non significasse più nulla, come se gli animali del santuario fossero diventati oggetti di vendetta e strumenti di un odio irrazionale. È stato attraverso i social network che ho tristemente appreso della morte del mio amato compagno Poupou. Poupou è, era, un gallo. Una piccola persona molto speciale che significava molto per me. Insieme a Ceylan Cirik, cinque anni fa ho organizzato la sua liberazione e quella di altri 304 uccelli da un mattatoio di Bertrix, per la quale sono stata condannata a sei mesi di prigione in Belgio. Per tutti questi anni mi sono occupata di Poupou, cercando di aiutarlo a combattere i postumi dello sfruttamento, mi sono presa cura di lui portandolo più volte da un* veterinari* specializzat*, ho istituito una sponsorizzazione per lui, l’ho assistito quando era malato. E nonostante questo forte legame, Ceylan Cirik mi ha impedito di vederlo. Un mese e mezzo fa, quando volevo occuparmi di lui e portarlo dall* veterinari* dopo aver notato il suo stato allarmante durante una visita al santuario, mi ha violato e gettato a terra davanti a un* amic* terrorizzat*. Poupou è morto circondato da traditori della sua lotta. Non ci sarà oblio, non ci sarà perdono!

Eppure la forte storia d’amore che Ceylan Cirik e io abbiamo avuto, tutto ciò che abbiamo realizzato insieme e le difficoltà che abbiamo affrontato mano nella mano, dovrebbero creare un legame indistruttibile e un rispetto reciproco ed eterno tra di noi. Ma dovrebbe avere questo rispetto anche per l* su* compagn* di lotta, quell* che hanno preso i forconi, i martelli e i picconi al santuario, quell* che ci hanno aiutato a far uscire gli animali dalle loro prigioni, quell* che si sono incatenat* nei mattatoi, e così via. Senza la loro solidarietà, 269 Libération Animale non avrebbe mai potuto realizzare azioni così efficaci e il santuario non avrebbe mai potuto sopravvivere. Ora attacca e maltratta anche quell* amic* e compagn* che negli ultimi mesi hanno coraggiosamente continuato a venire al santuario per accompagnarmi, e questo è imperdonabile. Quest’uomo è in definitiva un impostore per il quale nessun* conta davvero, siamo intercambiabili a seconda dei suoi umori e dei suoi desideri. Come un re tirannico nel suo regno di dominio che dimentica in fretta le sue grandi dichiarazioni d’amore e d’amicizia, anche mediatiche (dovete ascoltarlo nel documentario realizzato da Brut…), ora ritiene che io sia stata solo “l’accessorio carino” della sua lotta, che l* nostr* compagn* siano stat* una “corte effimera”, e che lui abbia il diritto di cancellarci oggi.

Spero che questo testo aiuti tutt* a capire che la situazione in cui mi trovo è una situazione di dominio. Contrariamente a quanto vorrebbe far credere il mio ex compagno – anche di lotta –, non si tratta di un banale conflitto privato, ma di una vera e propria presa di possesso autoritaria e violenta di un luogo – il santuario – nell’ambito di un rapporto di dominazione sessista. Per dirla in altri termini: si è appropriato, a proprio vantaggio, dell’associazione “Sanctuaire Libération Animale”, degli animali, del materiale finanziato dall* compagn* più strett* e dalla mia famiglia, che avevano investito molto nella creazione del luogo. Ed è un’appropriazione fatta ricorrendo a comportamenti fisicamente e moralmente violenti.

«L’intimità è politica» e noi cambiamo il mondo con le storie, è l’unico modo per farlo. Quindi voglio raccontare questa storia. Mi viene spontaneo lo sferragliare di un linguaggio che porta con sé rabbia e derisione, persino rozzezza; un linguaggio di eccesso, insurrezionale, quello usato dall* umiliat* e dall* offes*, come unico modo per rispondere al disprezzo e alla violenza. Cercherò comunque di trovare un modo per tradurre, senza poter trasmettere tutta la realtà che la verità impone, ciò che sta accadendo perché il tradimento fa parte della politica come dell’intimità e perché la vergogna del tradimento non toglie la gloria della resistenza. Perché la scrittura aiuta a rompere la solitudine delle cose subite.

Non avendo mai separato vita e lotta, parlo qui come cofondatrice del collettivo 269 Libération Animale, come co-presidente dell’associazione attraverso la quale è organizzata la gestione del santuario, e come semplice compagna. Parlo anche come “obbligata” di coloro che non hanno avuto diritto a una continuazione, quelle migliaia di animali lasciati nei macelli. Queste vite incompiute hanno ostacolato per sempre la nostra e ogni giorno conviviamo con queste innumerevoli morti. Il santuario non è un campo di ricreazione o un parco faunistico; è un progetto, una comunità di sopravvivenza e di lotta fatta di compagn* che si amano e si sostengono a vicenda, ed è fatta anche di quei fantasmi che sono il nostro costante richiamo a non dimenticare la lotta. È tutto mescolato insieme, quando guardo Serhildan, vedo le persone che erano nella scatola di quel mattatoio spagnolo con lui e che sono finite nella camera a gas. Non dobbiamo dimenticarl*. Siamo un tutt’uno con quest* scompars*; siamo doppi*, tripl*. Quando dico io, dico noi. Questa è la nostra eredità. La loro morte ci impone di reagire.

La tragedia vissuta da metà novembre ha privato la lotta di tempo prezioso e di complici coraggios*, e ha distrutto le possibilità di azione diretta che erano state pianificate per diversi mesi. Questo è imperdonabile e lo dico qui chiaramente: questo testo è soprattutto un appello a reinventare il 269 Libération Animale! Perché questo potente collettivo superi questa prova, si evolva e impari a ricostruirsi mantenendo la sua radicalità. È un appello a trasformarla in un’avventura collettiva, a riprendersi da questa terribile tragedia, a continuare a lottare, e faccio appello alla vostra solidarietà, compagn*, perché una volta che gli animali saranno al sicuro e fuori da questa situazione, avremo un posto da immaginare e una lotta da continuare.

II – LA BELLA E IL CATTIVO

Tra i pensieri inquieti che mi hanno a lungo impedito di pubblicare questo testo, c’è ovviamente la paura del ridicolo. Esporre pubblicamente un’intimità umiliante che è stata tenuta saldamente segreta per anni è un esercizio sconfortante. Non voglio essere una “vittima”. Non voglio essere incolpata, non voglio sentirmi dire che c’entro qualcosa, anche se il mio silenzio ha contribuito ad alzare il muro della sua onnipotenza. Sapere che si è capaci di una tale sottomissione è un dolore persistente. E se un compagno avesse avuto l’incoscienza di difendermi, sarebbe stato polverizzato anche lui. Ero innamorata di quest’uomo, non potevo immaginare che “269 Libération Animale” potesse continuare senza di lui e me insieme. Così ho fatto una scelta. Ho scelto di tacere.

Forse sarebbe più corretto raccontarlo dall’inizio. Bisogna trovare la frase, l’unica, quella che richiede di infilare la penna nelle ferite ancora aperte e di scavare nella pancia fino a trovare un tesoro di coraggio per superare la paura e la vergogna. Ma non ho bisogno di cercare lontano per trovare questa frase. Appare. In tutta la sua chiarezza. Triste e dolorosa. È stata scritta sette anni fa in uno dei miei primi testi: «è attraverso la pelle che la lotta è entrata nella mia vita». Sì, la lotta è entrata nella mia vita in modo irragionevole e improvviso, attraverso l’amore, un amore politico e appassionato che Ceylan Cirik e io abbiamo condiviso; e con lei ho siglato un patto per tutta la vita. Avevo trentatré anni, ero ancora notaio, dottorando e docente di diritto con una brillante carriera accademica davanti a me. Cosa mi è successo? Mi sono innamorata di una lotta e di un uomo allo stesso tempo senza mai riuscire a slegarli, ho lasciato tutto senza guardarmi indietro per mettere i nostri corpi e i nostri cuori in mezzo alla strada. Intraprendere questa lotta con lui significava fare scelte radicali senza ritorno. Così ho eliminato dalla mia testa tutti gli avvertimenti che avevo ricevuto, ho strappato via tutti i legami con il mio passato e ho distrutto la sicurezza di una vita confortevole. Non rimpiango nulla.

269 Libération Animale è nata dal nostro incontro. È stato amore a prima vista, come nei film. Ignorando tutte le barriere sociali, è stata l’abbagliante complicità di due personalità che hanno messo in comune i loro sogni e il loro sapere, una storia “quasi troppo bella per essere vera”. Cinque anni di un amore straordinario capace di mettere in pausa l’universo, fiammeggiante e distruttivo, costruttivo e caotico, che ha cambiato profondamente la vita di entramb*, della lotta e degli animali liberati con cui abbiamo costruito una vera famiglia. Abbiamo iniziato con pochi mezzi, solo un megafono e la rabbia nella pancia per denunciare le ingiustizie nei supermercati, nei fast-food e nei centri cittadini. La lotta ci ha unito con piccoli punti stretti, nel bene e nel male, perché ci sono state molte prove difficili affrontate mano nella mano e scelte dolorose. Ci siamo ribellat* e ci siamo scaldat* alla fiamma di ciò che ardeva tra noi. Ci siamo amat* in tutti gli interstizi del male assoluto che abbiamo combattuto ogni notte, abbiamo giurato di combattere insieme per tutta la vita sui tetti dei mattatoi, nei bunker, in fuga. Tante azioni compiute, tant* compagn* riunit* e poi anche un santuario che abbiamo trasferito nel 2019 in un terreno scelto insieme. L’intimo e il politico sono diventati così intrecciati da essere inseparabili. Noi due ci siamo trovat* di fronte al mondo, con la mente ancora in moto, alla ricerca della strategia migliore, concatenando azione dopo azione a un ritmo frenetico. Ci spingevamo verso il nemico, attraversando le recinzioni perimetrali dei mattatoi notte dopo notte, entramb* spint* da una sorta di istinto che ci diceva “è qui che si gioca”. Eppure dovevamo superare tanti pregiudizi legati alla nostra classe sociale d’origine, anche al razzismo, per andare oltre il cliché della “Bella e il cattivo”, della ragazza universitaria bianca e borghese e del delinquente razzista del quartiere residenziale in cui eravamo stat* intrappolat* mille volte. In questi primi cinque magnifici anni, ho messo in pancia l’immensa riserva della nostra storia, le nostre mani che sono nella notte, le nostre lacrime al mattatoio di La Talaudière, le nostre soste notturne da Colette, le bombe di vernice rosa, le nostre cene al braciere di Manonville quando non avevamo un “tetto”, la piccola Zana con noi in macchina dopo che l’avevamo strappata al suo destino durante un’esplorazione, i “tre piccoli” che andavamo a prendere alla stazione di Saint-Chamond e le nostre parole pronte, perché ogni amore è un popolo indigeno con i suoi riti, la sua grammatica, i suoi nemici, i suoi sacrifici e la semina che farà tornare la primavera.

Insieme, abbiamo pian piano costruito una famiglia, una comunità di sopravvivenza, composta da Rambo, che siamo andat* a cercare insieme, da Noisette, da Fantomas, che è stato vegliato fino all’ultimo respiro, da Nounours, da Errico e Caserio, da Poupou, da Sankara, da Bella, da Michonne, che è stata liberata durante la bellissima “operazione Tata”, e da tutt* l* altr*. Abbiamo scavato anche decine di tombe, abbiamo seppellito l* nostr* amati* Ocho, Fifille, Shams, Elvis, Forest, Kiwi, ecc. Abbiamo attraversato dieci volte, venti volte, cento volte di notte i campi, le zone industriali e tutte quelle sordide periferie, facendo di ogni mattatoio e di ogni prigione chiamata “allevamento” l’oggetto di una conquista. C’erano, però, i processi e le condanne che continuavano a renderci precari ogni mese, i fastidi perpetui di una vita quotidiana di rottamazione, il dolore che le visioni abominevoli dei mattatoi imprimevano nei nostri esseri, le orrende ferite dell* nostr* compagn* liberat* che erano diventat* compagn* di vita. Ma era proprio questo che prendevamo a bracciate quotidiane e che decidevamo di trasformare in altrettante pietre, fiammiferi, piedi di porco, grida di gioia, altrettante armi scelte per spaccare l’avversario su cui finalmente osavamo alzare le tronchesi; e qualunque fosse l’esito dei nostri gesti, nulla poteva cancellare il sollievo del peso che gravava sulle nostre spalle nel momento in cui, tremanti ma rigoros*, ci eravamo difes*. Insieme abbiamo inventato una politica della carne, incarnata, viva.

Nel corso degli anni, la storia della lotta, che ha portato a incontri decisivi e ad azioni magnifiche, è diventata più grande della storia d’amore originale. Dalla nostra complicità sono nati molti altri legami potenti, che hanno forgiato un intero movimento.

Purtroppo, da quando ci siamo trasferit* nell’est della Francia alla fine del 2019, il nostro rapporto intimo si è progressivamente deteriorato con molteplici episodi di rottura/riconciliazione, rifiuto totale e violenza da parte sua. Sono passata dall’essere la “dea” di cui era follemente innamorato e per la quale dava il meglio di sé, alla “povera ragazza” che doveva subire ogni giorno i suoi sbalzi d’umore e i suoi capricci. Anche se in questi due anni c’è stato ancora amore sincero e molta complicità tra noi, soprattutto nei momenti più difficili, ammetto che non riconoscevo più l’uomo che avevo di fronte. Quando si vive una storia d’amore di questo tipo, ci si dice sempre che si tratta di “un brutto periodo” e che alla fine si ritroverà questo rapporto eccezionale che ci legava. Era capace di passare dai peggiori insulti ai complimenti in pochi minuti, di baciarmi durante un’intervista davanti alla telecamera di Brut e poi la sera stessa di dirmi che non mi amava, di organizzare la mia festa di compleanno lo scorso luglio e di parlare all* nostr* amic* e parenti della «straordinaria Titi, la donna più bella e intelligente senza la quale nulla sarebbe stato possibile, bla, bla, bla» e poi di umiliarmi terribilmente davanti a tutt* perché avevo osato esprimere il mio disaccordo per una sua critica verso un film che avevamo visto. Gli episodi di violenza (morale e fisica) si sono purtroppo intensificati e aggravati a partire dal gennaio 2022: durante le discussioni si sono verificati diversi schiaffi, spintoni e gesti di strangolamento, e Ceylan Cirik si è comportato in modo sempre più sprezzante con me in pubblico.

Non entrerò nel dettaglio delle ragioni di questo allontanamento, non pubblicherò gli screenshot dei nostri scambi, questo appartiene alla mia vita privata e soprattutto non è l’argomento; perché, come ho detto tante volte, anche se in questi ultimi mesi io e lui non eravamo più una “coppia”, tutto ciò che è stato condiviso, rischiato e costruito insieme, la nostra famiglia, il collettivo, dovrebbe generare un legame indistruttibile, un rispetto eterno, e questo è ciò che ha riconosciuto fino all’inizio di agosto, giurandomi che non sarebbe mai stato in grado di estromettermi dal santuario dopo tutto ciò che avevo realizzato…

Il 22 agosto 2022, Ceylon Cirik abbandona il santuario senza preavviso. Già due settimane prima di questa data, non potevo più venire sul posto perché aveva iniziato a chiamare la gendarmeria contro di me. Descritta come una “povera pazza isterica”, minacciata con un machete perché gridavo la mia disperazione e chiedevo spiegazioni sui rimproveri che continuava a rivolgermi, mi è stato ordinato di lasciare il sito con il rischio che usasse violenza contro di me (un’illustrazione di questa schifosa solidarietà maschile che dà sempre la priorità all’aggressore). Sì, voleva rimanere da solo nel santuario e si rifiutava di parlare dell’ennesimo episodio di rottura-umiliazione che mi aveva fatto subire qualche giorno prima. Questa volta aveva pianto alla menzione dei nostri ricordi, dicendomi che incarnavo i momenti più felici della sua vita e che era riluttante a lasciarmi, per poi liquidarmi con una pletora di dettagli intimi umilianti qualche giorno dopo davanti al suo pubblico. Oggi ricordo con dolore lo stato di insicurezza in cui il suo comportamento mi ha fatto sprofondare negli ultimi due anni, come è riuscito a convincermi che tutto fosse colpa mia e come, a forza di “soffiare caldo e freddo”, sia riuscito a creare un sistema di controllo totale. Ho passato due anni a sopportare le sue ripetute crisi, durante le quali si ripeteva sistematicamente lo stesso schema: pretendeva di stare da solo sul luogo della nostra comune associazione, voleva rompere, gridava che non mi amava più, era fisicamente e verbalmente violento con me; poi, dopo diversi giorni di isolamento, chiedeva finalmente di essere perdonato perché aveva “un problema in testa” e di continuare a stare insieme senza stare veramente insieme in modo piuttosto ambiguo. Questo gioco perverso del “ti amo ma non ti amo” ha creato in me un tale senso di insicurezza da rendermi totalmente in balia di lui, e la mia unica colpa è stata quella di aver creduto che si trattasse di un’altra delle sue crisi, di aver quindi ingenuamente continuato a pensare che le cose sarebbero migliorate…

Il 22 agosto, quindi, il suo abbandono del santuario è stato definitivo, poiché pochi giorni dopo la sua partenza ha fatto sapere, durante una discussione con compagn* italian* molto impegnat* nel futuro del santuario (per il quale avevano finanziato un nuovo terreno), che lasciava gli animali a me e all* compagn* a lui più vicin*. Ecco le sue parole: «Lascio gli animali a voi. Tiphaine ha fieno e acqua per 4 giorni. Buona fortuna». È stato uno shock terribile, un trauma, e sono infinitamente grata all* tre amic* che hanno lasciato tutto per raggiungermi al santuario in quel momento. Il mio desiderio di comunicare con Ceylon Cirik si è scontrato con un muro di silenzio durato quasi 8 settimane. Dopo sette anni di vita e di lotte insieme, una famiglia fondata insieme, 24 cause giudiziarie, non mi è stato permesso nemmeno di ottenere una spiegazione del suo comportamento. Non ho mai smesso di cercare di discutere con lui di noi e del futuro del santuario come consigliato da Reason, ma lui si è sistematicamente rifiutato e non ha mai smesso di impormi le sue decisioni attraverso intermediari* scelt*. Mi è toccato farmi da parte, ma anche essere messa a tacere perché non sa comunicare né gestire la propria violenza. L’unica risposta che ho ricevuto è stato un mostruoso ultimatum a me e all* mie* compagn* più strett* all’inizio di settembre: o io e l* attivist* avremmo tenuto il santuario e Ceylan Cirik non sarebbe mai tornato, o avremmo lasciato il santuario e lui sarebbe tornato da solo pretendendo che accettassi di non vedere mai più gli animali. Ero sbalordita… La crudeltà e la perversione a quel livello non sono qualcosa che un cervello umano ‘sano di mente’ possa contemplare. È spaventoso. Ti lascia senza parole e impotente. Ho cercato disperatamente di spiegargli la mostruosità e l’assurdità di una simile scelta, gli ho scritto molti messaggi e l’ho pregato di ricordare il passato e di non distruggere tutto, ma tutto ciò che ho ricevuto in cambio è stato un grottesco conto alla rovescia che mi diceva di rispondere entro tale data.

Ceylan Cirik ora professa ovunque che lui, il povero ragazzo auto-sacrificato, accoglie gli animali dal 2012, sottintendendo di essere quindi l’unico fondatore del santuario e che questa anteriorità gli darebbe il diritto supremo di cacciare le persone che sono venute dopo di lui. Si tratta di un’enorme bugia, se si considera che tre quarti degli animali accolti sono il risultato di salvataggi organizzati da lui e da me, e che quando l’ho incontrato non c’era assolutamente nulla in atto per quanto riguarda i finanziamenti, gli aiuti, la diffusione mediatica e politica del luogo, l’attrezzatura era rudimentale, l’arrivo di compagn* di lavoro, ecc. Il carattere calibrato di un uomo con una dignità ferita, che lui stesso ha interpretato in modo eccessivo, mi ha raggelato. La culla dell’angoscia si annida nello scarto tra ciò che è dato vedere e ciò che so, tra l’immagine sociale, il discorso pubblico e la realtà dell’esperienza vissuta. La sua immagine, che sta riattivando dal suo ritorno alle reti, è quella del povero Ceylon Cirik, che agisce e non parla, che alla fine ha fatto tutto da solo. La falsità dell’immagine non sfugge a nessuno. Ricordo di aver subito i suoi capricci, quando scrivevo l’appello per il suo processo contro il sindaco del villaggio in cui viviamo, mentre oggi collabora con la polizia, quando passavo notti intere a riparare le liti e le ferite che provocava all* compagn* che osavano dargli fastidio. Mi urlava e mi umiliava, preferibilmente in pubblico.

È anche importante capire che il lavoro al santuario non consiste solo nel fornire fieno e acqua agli animali. La sostenibilità di questo luogo si basa anche e soprattutto sul “lavoro invisibile” che svolgo da sette anni, un lavoro che è molto meno riconosciuto e messo in evidenza, anche all’interno della comunità antispecista, che ha ancora riflessi sessisti. Dal 2016 ho assicurato il finanziamento del santuario, mettendo in piedi un sistema di campagne di donazioni e sponsorizzazioni, e organizzazione di eventi di sostegno. Mi occupo da sempre delle cure veterinarie specifiche (trovare veterinari* specializzat*, impostare le terapie, ecc.), gestisco le grosse responsabilità legali e i processi dell’associazione (infatti molte azioni di disobbedienza civile hanno generato condanne e di conseguenza rischi di sequestro), federo e mi occupo del gruppo di compagn*/volontari* che vengono ad aiutarci, ecc. Naturalmente il lavoro di cura è totalmente disprezzato in un sistema di valori sessista. Eppure la cura è alla base della società, e questo è tanto più vero per quella del santuario. Ma cos’è più importante per il futuro degli animali privi di documenti e in costante pericolo: saper sollevare una lastra di cemento come un “brav’uomo” o fare ricerca per trovare una cura per la malattia di CAEV? Saper guidare un trattore o creare un sistema di finanziamento per attrezzature più adatte? Saper avviare una motosega o negoziare con il DDPP la sospensione dell’esecuzione di un ordine di macellazione di un animale privo di documenti? E questi compiti (fienagione, bricolage, ecc.), che sono considerati maschili, li ho svolti fin dall’inizio, così come l* compagn* che gestivano il posto in nostra assenza. Dobbiamo smettere di credere al discorso del povero Ceylan Cirik, eroe virile e martire del santuario. Come sempre, c’è un lavoro fenomenale fatto da una donna mentre l’uomo si prende tutto il merito. Ma guardando se stesso godere della propria immagine e impunità, il maschio dominante del santuario non ha visto l’obsolescenza dei propri attributi e delle proprie funzioni simboliche. Vigore, coraggio, padronanza: gli antichi canoni occidentali si stanno fossilizzando per lui. La narrativa virilista che racconta non funziona più. Ha finalmente dimenticato la “donna guerriera” di cui si era innamorato e che ammirava tanto; ora la ricorderà suo malgrado e vedrà che non ho perso nulla del mio spirito combattivo!

Discutendo con l* compagn* una nuova gestione del luogo durante la sua assenza, ho iniziato a capire che l'”orizzontalità”, come la condivisione delle responsabilità e delle riflessioni, era un sistema in cui mi sentivo molto meglio e in cui, soprattutto, si aprivano più prospettive per il santuario e la lotta. Io e l* mie* compagn* abbiamo così potuto sperimentare gradualmente una gestione più collettiva del luogo e realizzare molti miglioramenti per l* compagn*, animali e umani. Inoltre, ho raccontato con entusiasmo tutto questo a Ceylan Cirik, al quale ho ingenuamente continuato a scrivere durante la sua assenza, nel disperato desiderio di farlo ricredere e di fargli venire la voglia di tornare alla sua vita quotidiana qui, alla sua famiglia e alla lotta con noi. È un atteggiamento normale quando si ama qualcuno e si è costruita la propria vita intorno a lui, e ancora di più quando la stretta è così forte. Pensavo disperatamente che si trattasse di un episodio difficile e che quell’uomo che mi aveva chiesto di sposarlo e con cui avevo rischiato tante volte la prigione non potesse cancellarmi così. Ero convinta che senza di lui non sarei riuscita a mantenere in vita “269 Libération Animale” e a portare avanti l’attivismo, eppure per due anni sono stata più motivata di lui a organizzare azioni dirette, non mi sono mai arresa, ho costruito reti di collocamento, solidarietà per i finanziamenti, ho cercato di appassionare più persone possibili, e ho sempre vissuto solo per questo. Ma ero intrappolata nell’immagine della coppia mitica. Mi aveva promesso che avremmo continuato tutto insieme e mi stava abbandonando. Non è una cosa accettabile per una persona normale, nessun* può sopportarlo. Così continuavo a ripetermi che prima o poi sarebbe tornato se fossi riuscita a contattarlo con messaggi gentili.

In quel periodo organizzavamo regolarmente riunioni che ci lasciavano un ricordo amaro, poiché alcun* de* partecipanti brillavano per la loro vigliaccheria e il loro tradimento. Di fronte ai prelievi che Ceylan Cirik continuava a fare dal conto bancario dell’associazione, nonostante ci avesse abbandonato, si decise collettivamente di togliergli l’accesso al conto bancario. Questo è ora un argomento che usa per legittimare l’appropriazione indebita di fondi da parte della sua associazione di colonizzazione. Ha un tale talento nel capovolgere la realtà: giura che non tornerà mai più, torna, ci aggredisce e mi impedisce di continuare la mia vita quotidiana al santuario e poi viene a lamentarsi che non ha accesso al conto bancario!

Oggi è l’associazione “Sanctuaire Libération Animale” che continua a finanziare l’affitto del terreno occupato illegalmente da un’altra associazione, le cure veterinarie (attuali e specifiche da quando è stata pagata l’ultima fattura di 1.700 euro per le cure di Serhildan), le assicurazioni delle auto di cui si è appropriato Ceylan Cirik, compresi i veicoli e i rimorchi finanziati dai miei genitori, l’assicurazione del terreno, le tasse e i contributi periodici di cibo che possiamo ancora dare di tanto in tanto. Ci viene impedito di finanziare il resto, e non di dimetterci come vorrebbe farci credere. Quello che sta facendo oggi è una totale mancanza di rispetto nei confronti degli sponsor che ci aiutano ogni mese da diversi anni. Non ha esitato a violare le madrine di Çano e Zia che sono venute ad accompagnarmi al santuario.

Purtroppo, mentre stavamo mettendo in piedi una gestione collettiva in sua assenza, il silenzio di Ceylan Cirik si è trasformato all’inizio di novembre in una minaccia di ritorno improvviso e in un flusso continuo di attacchi personali, cattiverie irrazionali e molestie nei miei confronti. Una minaccia che ha messo in atto il 12 novembre 2022 dopo aver mentito sulle condizioni del suo ritorno a divers* compagn* che ha manipolato con false promesse. Si è imposto con la forza e la brutalità e non ha fatto mistero del suo desiderio di estromettere chiunque sul territorio. Mi insulta violentemente e mi chiede cosa ci faccio qui. È una situazione sconcertante. Mi ordina di andarmene sotto la minaccia di essere sfrattata dai gendarmi se non obbedisco… Dovete sapere che la prima cosa che ha fatto al suo ritorno è stata quella di andare direttamente alla gendarmeria chiedendole di essere pronta a intervenire a sostegno del suo tentativo di sfratto, e poi di venire al santuario per sgomberare le nostre cose senza avere uno sguardo o un gesto per gli animali che non vedeva da 3 mesi. Tutt* noi abbiamo assistito a questo. L* compagn* presenti sono estremamente scioccat*, io sono in stato di shock. La mia famiglia, che ha lavorato e finanziato le attrezzature per due anni, era sul posto in quel momento, a posare lastre davanti alla “cucina”. Propongo di nuovo una discussione per valutare un accordo sulla presenza al santuario, visto che Ceylan Cirik si rifiuta di starmi vicino. Si rifiuta, preferendo chiamare i gendarmi che vengono a sgomberarmi mentre sono in casa. Nei giorni successivi, ha sistematicamente chiamato la gendarmeria per allontanare chiunque non obbedisse o sembrasse “troppo amichevole” con me. Un attivista è stato addirittura placcato a terra da un gendarme, sotto lo sguardo compiaciuto di Ceylan Cirik, che si vantava di essere onnipotente.

Dal 12 novembre ho avuto a che fare con un uomo che non riconosco più, e si tratta di denunciare un comportamento totalmente irrispettoso della storia e dell* abitanti del santuario, l’opposto di tutte le idee politiche difese da 269 Libération Animale: la distruzione e la negazione di un passato di lotta comune, una svolta politica nauseante presa dal cofondatore che agisce con una crudele mancanza di ragione, rispetto e sensibilità. Questo shock mi ha aiutata a capire chi era veramente, che impostore era diventato, e a capire anche i miei errori, perché dando la priorità alla mia coppia per “salvare” 269 Libération Animale, ho causato molto danno all* mie* compagn* che non avevano potuto trovare in me, prima di questo dramma, un alleato per mettere in discussione l’autoritarismo e la violenza di Ceylan Cirik. Ho finalmente capito che ci stavamo avviando verso il disastro da molto tempo e che il collettivo, come me, avrebbe tratto beneficio dal mettere in discussione prima l’organizzazione e dal parlare finalmente delle violenze subite in privato. Possiamo ancora cambiare molte cose per tutti gli animali che ci aspettano nei macelli, ma non cambieremo lui!

Fin dai primi giorni del suo ritorno al santuario, non ha esitato a distruggere con totale noncuranza le installazioni realizzate da compagn*; abbattendo, demolendo tutte le migliorie apportate quell’estate: pura dominazione. Mise a soqquadro tutte le strutture del santuario per cancellare ogni traccia del passato, ogni ricordo o iscrizione che mi riguardasse o che menzionasse il mio nome. Si è dato da fare per sminuzzare ogni lettera, ogni pennellata, persino le decorazioni della capanna delle pecorelle. Ha fatto accordi ridicoli solo per odio e vendetta. Instilla un clima di terrore e di violenza per chiunque osi opporsi a lui e apporta cambiamenti del tutto irragionevoli nella cura degli animali, molti dei quali sono in cattive condizioni di salute.

Oggi la lista delle violenze subite da* compagn* è lunga, compagn* che ci aiutano da diversi anni, persone coraggiose che, per amicizia con gli animali e preoccupazione per me, hanno continuato ad accompagnarmi al santuario. Ceylan Cirik ha cercato di strangolare uno di loro che giustamente si rifiutava di abbandonarmi e di lasciare il sito, ha minacciato di ucciderne un altro, ha spinto e buttato fuori l* compagn*, ha insultato tutte queste persone e ha strappato i telefoni. Come può trattare così de* compagn* che hanno fatto tanto per noi? Un mese fa, due attivist* di lunga data, volontari* estremamente impegnat* nella vita del santuario, hanno subito la sua violenza e sono stat* buttat* fuori dal santuario con insulti abominevoli, omofobi e abilisti.

Ogni volta che vengo, perché è dallo scorso novembre che cerco di resistere e continuo ad andare a vedere gli animali, Ceylan Cirik usa un odioso processo di denigrazione e svalutazione nei miei confronti cercando di far credere, dopo aver lodato per anni il mio lavoro, anche in modo pubblico, che solo LUI sarebbe stato all’origine del santuario, cosa che nessun* può ragionevolmente credere. Cerca di dimostrarmi che non valgo nulla e continua a ripetere che non sono capace. Anche in questo caso, abbiamo tutta una serie di strategie di dominazione messe in atto da quest’uomo: mettere in dubbio la mia salute mentale (“stai perdendo la testa, sei completamente isterica/pazza, stai delirando“); denigrare le mie capacità intellettuali e fisiche (deridendo i miei punti di vista, le mie opinioni, deridendo il lavoro teorico che ho svolto finora). Mi sta anche accusando davanti all* mie* compagn* di essermi comportata in passato in modo inappropriato con gli uomini per umiliarmi, sminuirmi fino a farmi sentire così infelice da voler sparire, rendermi ridicola, togliermi la dignità. Ha persino cercato di isolarmi dall* attivist*.

Da quando è tornato, Ceylan Cirik ha denigrato tutto il lavoro teorico che ho fatto fin dall’inizio del collettivo, tutte le idee che ho proposto, e ha manifestato il suo odio per l* “intellettuali”: l’alleanza con le forze dell’ordine e la denigrazione di coloro che sono etichettat* come “intellettuali” è spesso il primo passo verso il fascismo… Si è anche divertito a scrivere ai giornalisti che ci contattavano attraverso i social network di 269 Libération Animale, dicendo che ero una “pazza manipolatrice”, così gli ho tolto l’accesso alla pagina Facebook come amministratore. Dobbiamo anche renderci conto delle conseguenze del suo comportamento quando si allea con la polizia e sparla di infamia sui social network: se l’anonimato è uno dei nostri fondamenti di protezione, ci rende vulnerabili esponendoci in questo modo e ricorrendo alla polizia, che improvvisamente vede in questo modo una porta d’accesso al rifugio e a tutta la privacy del collettivo. È un pericolo a cui ci espone, distruggendo anni di discrezione e riservatezza.

Vedo l* mie* compagn* di lotta umani a cui sono legata, compagn* che si sono pres* cura degli animali con me durante l’assenza di Ceylan Cirik, essere violat* ed esclus* con autoritarismo; vedo la polizia diventare un alleato di circostanza nella conquista che sta conducendo. È necessario ricordare che il nostro collettivo è stato costruito sulla base di un pensiero decisamente anarchico e che ha sempre affermato di essere in opposizione frontale allo Stato e ai suoi rappresentanti? Questa franca e presunta collaborazione con le forze dell’ordine nella realizzazione del suo progetto di appropriazione del santuario è la negazione di tutta l’anima di “269 Libération Animale”. La fiducia è stata rotta per sempre. Come si può non provare disgusto quando un collettivo impegnato nel radicalismo, nell’anonimato, nel pensiero strategico conflittuale e nell’azione diretta di tale importanza, si trova ora esposto e ridotto a un paletto del potere e del dominio? Come può Ceylan Cirik mobilitare i gendarmi contro di noi, sue/suoi compagn* di lotta, dopo tutti gli arresti, le perquisizioni e i processi che abbiamo dovuto affrontare? È una svolta politica imperdonabile quella del cofondatore di “269 Libération Animale”, le cui azioni e parole si avvicinano sempre più a una logica di destra e incarnano la negazione di tutte le idee politiche che hanno cementato il luogo.

E da quando è tornato, il discorso e il comportamento di Ceylan Cirik sono stati indicativi di un animalismo totalmente depoliticizzato che non si cura di chi partecipa alla lotta (l’intersezionalità non esiste più), con la scusa di un attivismo falsamente scioccante ed eroico. Un animalismo con cui abbiamo rotto molti anni fa. Far sentire le persone in colpa per essere inconsapevoli e ignoranti senza nominare e svergognare le strutture e i meccanismi di dominazione non ha senso. Un movimento sociale senza teoria è destinato ad essere innocuo, anche se si dà un nome e fantasie di potere. Così come questo tipo di riabilitazione della purezza del mondo animale (costruita sulla contrapposizione tra gli animali, che sarebbero tutti esseri gentili e innocenti, mentre gli umani sarebbero ovviamente “tutti marci”) è pericolosa perché ideologicamente la contemplazione della perfezione della natura non è mai lontana dal fascismo. Questo moralismo animalista non ha nulla a che vedere con il pensiero di “269 Animal Liberation”. Anzi, il collettivo ha difeso il contrario, non gerarchizzando le cause ma collegandole tra loro, di concerto, sapendo che tutte servono allo stesso obiettivo finale: abbattere la classe dirigente. Lo specismo non è scollegato da altre forme di dominio e oppressione. Non volevamo né il radicalismo chic della classe superiore che abbandona la maggioranza al suo triste destino, né l’ortodossia di un animalismo vuoto che calpesta le lotte che considera periferiche. Da diversi anni ci impegniamo a pensare e a praticare contro tutte le forme di oppressione, che riguardino gli esseri umani o gli altri animali, per una liberazione totale. Oggi siamo determinat* a proseguire su questa strada e a continuare a integrare l’antispecismo nella lotta di classe.

Ogni giorno, l’uomo che ora si presenta come “gestore” esclusivo del santuario privatizza un po’ di più il luogo chiudendo ogni accesso e struttura con dei lucchetti, e io non posso più accedere alla casa mobile, sede amministrativa e spazio privato del santuario, che usavamo, né alla roulotte che funge da infermeria. In modo del tutto grottesco e disonesto, si è preso il merito delle visite veterinarie che sono riuscita a organizzare fino all’inizio di gennaio, ad esempio per Serhildan. Di fronte a questo veterinario specializzato che viene da lontano per curare questo maiale affetto da osteocondrosi, ha chiamato i gendarmi per togliermi di mezzo, insultandomi e spintonandomi di fronte al veterinario che era scioccato da questa situazione. Poi Ceylan Cirik ha osato mettersi in scena in modo patetico sui social network, glorificandosi di aver “offerto” a Serhlidan una sessione di trattamento quando non ha nemmeno ascoltato la diagnosi e tanto meno ha cercato di trovare una soluzione per il finanziamento di questo trattamento.

Ceylan Cirik ora mi impedisce di accedere al santuario e ostacola tutte le mie possibilità di gestire il luogo e di fornire alcune cure veterinarie agli animali, dal momento che è impossibile per me andare lì da sola in completa sicurezza, essendo stata la mia vita chiaramente minacciata da lui in molte occasioni con parole e gesti. Non mi soffermerò nemmeno sulle sue pietose e vergognose giustificazioni. Usa i tre potenti stereotipi che squalificano le donne che si esprimono contro la violenza nei loro confronti: “esagera“, “è spinta dalla frustrazione amorosa“, “vuole fargli del male“. È grottesco.

Per poter continuare a controllare la salute degli animali, per poterli semplicemente vedere anche noi, perché ci mancano tanto, compagn* e amic* coraggios* che hanno lavorato per la sopravvivenza del luogo nel corso degli anni hanno continuato ad accompagnarmi lì. Non l* ringrazierò mai abbastanza per il loro sostegno e continuiamo ad essere una famiglia, noi e gli animali, e a condividere una storia comune. Ogni volta che siamo venut* qui, è stata una situazione di oppressione. Ceylan Cirik esamina ogni mia mossa e apparentemente la denigra. Fa un resoconto incoerente che mira a diffamarmi e si riferisce alla denuncia per violenza domestica e minacce di morte che ho presentato contro di lui in questi termini: “smettila di fare la vittima“, “non sei credibile“, “se vieni è perché non hai paura di me“. Mi ha perseguito per tutto il viaggio, filmandomi e umiliandomi nel santuario con “Tiphaine Lagarde, me la pagherai“. L’oppressione era verbale, ma è diventata presto fisica, con prese, spintoni e sgambetti, e a volte in modo ancora più violento, sono stata addirittura picchiata, soprattutto quando volevo accedere alle strutture del santuario. È ostentatamente autoritario e anche irrispettoso con l* compagn* del rifugio, chiamandol* idiot* perché “stanno dalla parte di Tiphaine“. Il suo discorso conferma la sua posizione “accampata”, ritenendo che la presenza de* compagn* del santuario al mio fianco sia riconducibile ad una “amicizia preferenziale” che avrebbero nei miei confronti, mentre la base comune di motivazione de* volontari* è la preoccupazione per la cattiva gestione del santuario che mette a repentaglio la buona salute degli animali presenti, e il completo scollamento di Ceylan Cirik con i valori e le idee portati avanti dal gruppo che un tempo formavamo.

Sono molto preoccupata per la mia sicurezza e per quella degli animali che non posso più accudire in queste condizioni, anche se ho il diritto e la responsabilità di farlo. Ceylan Cirik sta rubando e distruggendo anni di lavoro (e di conseguenza tutti i miei sforzi per creare il santuario insieme a lui, dato che i passi sono stati lunghi e difficili nel 2019 quando ci siamo trasferiti nell’est della Francia: ho organizzato tutta la campagna di raccolta fondi e i passi amministrativi necessari), sta monopolizzando l* compagn* animali come oggetti di potere e vendetta privandomi di una vita condivisa con loro. È importante capire che per sette anni sono stata al santuario ogni giorno con gli animali e che da metà novembre ho potuto andarci solo otto volte, perché ogni volta sono stata molestata, umiliata e maltrattata senza l’aiuto della polizia. Il santuario, un luogo bellissimo, è ora diventato un luogo oppressivo di terrore, dominio e collaborazione con la polizia. Lui e i suoi sostenitori hanno distrutto l’anima politica del Santuario, che ora è un rifugio privatizzato e banale, privato della sua storia e dei suoi complici, tenuto in mano da persone senza alcuna coscienza politica che lo gestiscono disastrosamente come “il loro posto”.

III – RICOSTRUZIONE

Negli ultimi anni, per resistere a tutti i costi e continuare a credere nella lotta mentre eravamo immers* nel fango, sepolt* sotto gli atti di sequestro-vendita e devastat* dal rumore della pala che scavava troppo spesso la terra per seppellire questi animali che vedevamo morire lentamente, ho incassato i colpi come un muro, un muro di mattoni che non crolla mai, non dubita mai di nulla, non vacilla e non indietreggia. Perché indietreggiare o dubitare avrebbe significato mettere in discussione gli sforzi e i sacrifici che la lotta impone… e che, nonostante le difficoltà, ogni compagn* portat* via da un mattatoio era una vita strappata alla violenza del sistema speculativo e al destino che l* attendeva. È lungo abbandonare una simile corazza quando si desidera tanto che la storia non finisca, ma oggi sono presa da questa urgenza di raccontare ciò che sta accadendo, di salvare ciò che Ceylan Cirik si sforza di distruggere ogni giorno, di gridare ciò che mi sta strappando le budella e spaccando il cuore in due, quindi mio malgrado mi presto a questa “esposizione” spudorata perché non ho più la scelta di far sentire l’ingiustizia nel santuario, che è diventato un luogo che io e l* mie* compagn* non riconosciamo più.

Dovrei raccontare tutto, naturalmente, di come la violenza si sia intromessa negli ultimi due anni in una coppia che già affrontava la guerra all’esterno, di come io abbia fatto di tutto per nasconderla al fine di preservare quello che ritengo ancora il collettivo più promettente per una lotta radicale, di come la precarietà e il dolore ci abbiano lacerato in due e portato via quella parte di noi che valeva la pena conservare. Non mi addentrerò nella litania dei “se” che renderebbero la mia esistenza una realtà al passato.

Ho procrastinato tanto negli ultimi anni, nascondendo la verità di un comportamento che da tempo era diventato intollerabile nella mia vita privata, per proteggere il collettivo e le azioni. Perché volevo che continuasse e perché, fino alla fine, le azioni che siamo riuscit* ad organizzare insieme con grande complicità erano così belle e potenti (straordinarie parentesi di lotta radicale). Rimarranno tali. Non si tratta di sporcare il bello, che rimarrà bello, ma di dire oggi ciò che è vero. Questa è forse la cosa più dolorosa da accettare: ho conosciuto sia i momenti più belli che quelli più brutti della mia vita con lo stesso uomo. Partire dal nostro legame per costruire una lotta è stato un modo originale e potente di fare politica, ma quando la relazione si deteriora e il dominio di genere ha iniziato a intromettersi nella vita quotidiana, questo modo di fare diventa subito una trappola perché tutto era stato costruito sulla coppia che avevamo formato. Il problema non è l’intimità o l’amore, o l’aver basato tutto sul legame, ma la violenza di questa relazione inscritta nei codici dell’eterosessismo. Quando il patriarcato, il controllo e il sessismo si sono intromessi nella mia relazione, ho cercato di contenerli per salvare il tutto. Per molto tempo non ho messo in discussione questa violenza. Non ho imparato a dire no, ho imparato a sopravvivere evitando di dire no. Ero dominata, sopraffatta dal senso di colpa, bloccata in un vicolo cieco di pensieri. Ho cercato di sublimare la storia d’amore per giustificare la violenza: «Alcuni amori sono come droghe pesanti. Non ti arrendi, anche quando è diventato un lavoro di demolizione. Si crede che se si è leali, coraggiosi e persistenti, le cose torneranno come erano all’inizio. Quando erano straordinarie. La vostra intelligenza sa che è un casino, ma il vostro istinto vi dice che dovete rimanere in questo amore.» (Virginie Despentes).

Eppure siamo riuscit* a fare tante cose belle, abbiamo vissuto i momenti più belli della nostra vita insieme, noi e l* compagn* più vicin*, e sono stat* tant*. Per molto tempo ho pensato di poter salvare tutto questo. Nell’aprile del 2022, quando ha bandito uno dei pilastri del gruppo senza nemmeno prendersi il tempo di parlargli, ho capito che nulla sarebbe stato più come prima. Certo, avrei dovuto reagire, ma i sentimenti che ancora provavo per lui, questa sporca convinzione che finché ci fosse stata la coppia tutto sarebbe stato possibile, e la paura di rappresaglie se avessi osato oppormi a lui, mi impedirono di farlo. Ho finito per rifugiarmi in un sistema ancora più verticale a spese de* mie* compagn*, pensando che Libération Animale sarebbe morto se avessi fatto saltare il legame tra me e lui. Questo ruolo che avevo nel gruppo fa parte del “lavoro di cura” che viene svolto per lo più dalle donne, perché è disprezzato.

Non avevamo una gestione collettiva dei conflitti, per non parlare della violenza. Era quasi impensabile nel nostro gruppo perché non volevamo mai perdere tempo, tutti gli sforzi erano costantemente rivolti alla preparazione di azioni. Non volevo che ci fermassimo e negli ultimi anni ho spinto per mantenere il ritmo. È ovviamente un compito per il futuro pensare a una “giustizia trasformativa o comunitaria”. La giustizia trasformativa non cerca solo di trasformare il comportamento di una persona che causa un danno. Cerca anche di trasformare il modo in cui le comunità parlano di danno e di guarigione, di dissolvere la sofferenza come esperienza individuale isolata e di pensare alla guarigione a livello collettivo e strutturale. Questa denuncia pubblica non è un linciaggio collettivo; non bisogna mai dimenticare che si tratta di una difesa di fronte a un’ignominia reale. Si è cercato di fare in modo che Ceylan Cirik potesse prima farsi avanti privatamente. Ma è riuscito a evitare di essere ritenuto responsabile e ha scelto di continuare a generare sofferenza.

Una cosa è certa per il futuro: non distruggeremo il dominio con il dominio.

Quello che sta accadendo è anche un’opportunità per me di mettere sinceramente in discussione questa “verticalità”, che è diventata gradualmente tossica e oppressiva. Non mi sottraggo alle mie responsabilità su questo punto, perché Ceylan Cirik non deve essere considerato l’unico portatore e difensore di questo sistema. Ho difeso a lungo questo tipo di organizzazione gerarchica che, per tanti anni, ha funzionato perfettamente. Anche molt* de* mie* compagn* l’hanno trovata di loro gradimento per molto tempo, o perlomeno hanno potuto conviverci senza difficoltà. Faccio una netta distinzione tra “verticalità” e “oppressione”, così come non difenderei mai l’autoritarismo! Innanzitutto, bisogna ricordare che questa verticalità non è stata sempre “scelta” da “269 Libération Animale”, è stata quasi necessaria durante i primi blocchi dei macelli per garantire l’impunità a nostr* compagn* e complici. Stavamo sperimentando una tattica di lotta di cui non si conoscevano ancora le conseguenze giudiziarie e va detto che, essendo la verità, l* compagn* che partecipavano a queste azioni condizionavano la loro partecipazione all’assenza di repressione. Poiché eravamo l* unic* due organizzatori/trici di queste azioni (e nessun altr* voleva assumersi una tale responsabilità penale!), ci siamo assunt* entramb* la totalità delle condanne per quattro anni e abbiamo così potuto avviare una moltitudine di azioni dirette in Francia grazie a questo processo.

La verticalità era “imposta” anche perché il nostro impegno era diverso per natura e intensità da quello de* compagn* che ci circondavano. La lotta era la nostra vita quotidiana, era la nostra scelta di vita che non volevamo imporre a nessun*. Avevamo le iniziative e in pratica ci occupavamo della gestione del santuario, della ricerca e della gestione delle azioni dirette, dell’elaborazione della strategia e della teoria politica, e naturalmente era anche una questione di “conoscenza” poiché era nelle nostre mani. Abbiamo formato ed educato molt* compagn* con grande rispetto e gentilezza e sarebbe sbagliato dire che “269 Libération Animale” è sempre stata un’organizzazione autoritaria. No, si è a lungo basata sulla verticalità nella pratica dell’azione diretta, ma ci sono stati anche momenti di orizzontalità, di condivisione dei compiti e di decisioni comuni a volte su aspetti che lo consentivano.

Soprattutto, credo che non si debba dimenticare che questa verticalità ci ha garantito un’efficienza magistrale sul campo. La verticalità che naturalmente si impone e prende forma durante le azioni tecnicamente più complicate (e la loro preparazione), non è ovviamente un male. Non è incompatibile con il pensiero anarchico e con un’aspirazione realistica all’orizzontalità. Non è questa verticalità che critico oggi. Perché sì, considerando gli obiettivi che ci eravamo prefissat*, la difficoltà di portare così tante persone in un mattatoio, il numero di animali che volevamo strappare al loro destino, i rinvii che ci facevano rischiare la prigione al minimo errore, è stato ovviamente chi aveva esperienza e capacità a prendere le redini, a guidare l* altr* e a prendere il comando. Tutto il gruppo lo capiva e non è su questo punto che oggi si mette in discussione l’organizzazione di “269 Libération Animale”. A questo proposito, non dimentichiamo tutti i rischi che Ceylan Cirik ha corso per insegnarci tante cose e per realizzare queste azioni. È stata una verticalità necessaria ma anche protettiva e benevola che ha permesso al gruppo di agire con la massima sicurezza ed efficienza.

Tutt* coloro che hanno partecipato all’operazione Bonnot, una delle più belle azioni realizzate, hanno potuto spiegare quanto fosse bella “questa forma di organizzazione”. La preparazione è stata fatta collettivamente, tutt* hanno potuto dare il loro parere sulla scelta degli obiettivi; poi, quando è arrivato il momento, sono stat* l* compagn* più espert* a elaborare naturalmente il piano e a guidare l* altr*, contando su una grande solidarietà collettiva in cui ognun* aveva un posto. Quando si hanno 10 minuti per far uscire 30 pecore da un’area complessa, è naturale che l* più espert* prendano il comando. È il buon senso e non la verticalità che si pretende. Stavamo imparando insieme. Quella notte c’era una tale complicità tra tutt* noi, tanti animali liberati in un luogo quasi impraticabile. Insieme eravamo capaci dell’impossibile, avevamo così tanta audacia, era qualcosa di così eccezionale che non volevo che finisse. Queste operazioni di liberazione sono state per molt* di noi i momenti più belli della nostra vita. Negli ultimi due anni, le azioni erano diventate i “resti”, gli “ultimi rantoli” del gruppo che stava ancora facendo tante cose potenti e belle, ma che stava soffrendo internamente e sarebbe imploso.

Uscita dalla sua morsa, ora posso anche vedere più chiaramente il muro verso cui ci stavamo dirigendo con questa verticalità che, al di là delle incantevoli parentesi rappresentate dalle azioni, si era trasformata in autoritarismo violento. Non saprei datare il passaggio da una verticalità non pensata ma imposta dal contesto, a una verticalità che è diventata un sistema organizzativo che ha ceduto il passo all’autoritarismo… Quel che è certo è che questo cambiamento ha avuto conseguenze terribili. Il gruppo ha retto solo perché ho passato il mio tempo a fare da “filtro” tra Ceylan Cirik e l* compagn*: riparando le sue parole violente, spiegando le sue crisi, legittimando le sue decisioni. Questo autoritarismo aveva finito per corrodere ogni parte del collettivo. L’intimo come l’attivista. E mio malgrado ho rafforzato il suo potere nascondendo la verità e abituando il gruppo a sopportare questa violenza, perché volevo che le azioni non si fermassero mai. Ma forse abbiamo anche fatto di meno, privandoci di alcune persone, di una messa in comune di pensieri e competenze…

Oggi c’è un desiderio reale da parte mia di ricostruire con l* mie* compagn* una base organizzativa molto più collettiva e coerente con il nostro discorso politico e la nostra visione di un antispecismo di sinistra integrato nella lotta di classe. Devo ammettere che a volte faccio fatica a non vedere l’orizzontalità totale e dogmatica come un fattore paralizzante per i gruppi di azione politica. Questa barbarie, l’immediatezza dell’attivismo che lui e io abbiamo condiviso e che ci ha portato a correre tutti i rischi, è stata il “marchio di fabbrica” del 269 Libération Animale. In futuro dovremo riuscire a trovare un nuovo equilibrio e un nuovo funzionamento collettivo, mantenendo questa formidabile capacità di azione. Dovremo confrontarci con livelli di impegno molto diversi e complementari. C’è una cosa che il gruppo rivoluzionario richiede: la “generosità” dei suoi membri. Quindi, ovviamente, quando uno o più compagn* si distinguono per l’intensità del loro impegno, è sempre fonte di un rischio di ritorno alla verticalità e di ansia. Dovremo affrontare questa nuova sfida per ricostruire in modo più sano. Abbiamo capito che è essenziale produrre una cultura o un modo di stare nel gruppo che sia generoso e tollerante. Non si tratta di fare riunioni per ogni dettaglio, né di perdersi in teorie operative. Impareremo sul campo a trovare l’orizzontalità che fa per noi.

Una cosa è certa: non vogliamo perdere altro tempo con tradimenti, drammi e intrighi endogeni che probabilmente non avrebbero mai avuto luogo se una forma di educazione politica avesse garantito la condivisione di una base ideologica comune; se, invece di essere dominato da una speranza messianica, il gruppo si fosse basato su una condivisione di conoscenze e competenze oltre che di pensieri. Come sappiamo, la verticalità imposta porta a inevitabili spaccature interne. Non vogliamo più soffrire, non vogliamo più perdere di vista i nostri obiettivi e, nonostante il sentimento generato dalla grandezza delle nostre aspirazioni, sappiamo che ciò che possiamo creare non sarà perfetto, ma potrebbe risultare abbastanza buono.

L’autodissoluzione delle “avanguardie” sembra essere un destino in cui siamo cadut*. La lotta ci ha consumato con certezza, consapevoli dell’utopismo dell’antispecismo e sperimentando il fallimento con tutt* coloro che sono rimast* indietro, e «forse non è esagerato dire che i gruppi radicali sono regolarmente inclini a forme di follia» (Melancholy of Groups). Forse per questo motivo, molt* attivist* preferiscono evitare questo mondo di “gruppi politici formalizzati” per esistere liberamente da sol* e impegnarsi in progetti più piccoli. Ma oggi io e l* mie* compagn* crediamo ancora che la Liberazione animale possa portarci molto più lontano. Non vogliamo rinunciare al lavoro svolto in questi anni, al livello di efficacia che abbiamo raggiunto in termini di pratiche di lotta. Questo collettivo ha gettato le basi di una pratica audace e popolare di azione diretta, un terreno che ci ha permesso di fermare i macelli, di ottenere enormi liberazioni, di superare ciò che sarebbe stato accessibile a noi da una pratica autonoma, perché 269 Libération Animale è anni di legami e di esperienza, un luogo che si è radicalizzato, e sappiamo che questo gruppo può ora trovare una nuova forma di organizzazione per portare avanti il suo progetto e colpire ancora più duramente. E quando parliamo del futuro di 269 Libération Animale, ovviamente includiamo il santuario. Vogliamo ritrovare gli animali il prima possibile, perché al di là dell’affetto che ci lega e della costante preoccupazione di fornire loro le migliori cure, sono i nostri compagni di lotta, condividiamo una storia e non andremo avanti senza di loro. C’è un nuovo luogo, un nuovo santuario da sognare, da costruire, insieme.

IV – CONCLUSIONE

«Sento la scrittura come un coltello» diceva Annie Ernaux, forse oggi è l’unica difesa che mi rimane, perché la scrittura e l’azione diretta sono sempre state le uniche armi a mia disposizione contro il dominio. Quindi sì, è un testo che fa male ma che ho ritenuto necessario scrivere vista la situazione che ci sta attraversando, io e l* compagn* del collettivo, e la lotta che si prospetta, perché non lasceremo i nostri amici animali e il santuario nelle mani di persone che lo stanno sporcando, che lo hanno rubato alla lotta radicale, persone prive di rispetto, di valori e di principi. Un “testo-bomba” per l* mie* amic* animali e umani, vittime collaterali di un processo di distruzione che ci ha colpito fino ad abbatterci con una violenza inaudita e inconcepibile che non avrei mai creduto possibile in questo luogo.

Le mie parole sono bende e marchi di fuoco… Perché mi sembra di “tradire la mia razza” rivelandole di distruggere per sempre il simbolo di quello che era il gruppo più all’avanguardia in termini di pratica e teoria radicale antispecista. Ma la scrittura, e torno sempre a Genet, è la mia “ultima spiaggia” di fronte all’ignominia, alla calunnia e alla violenza. Perché questo straripamento di dolore trabocca, e per andare avanti deve uscire in un testo, ecco perché scriviamo, sempre…

Per molto tempo mi sono trattenuta dal pubblicarlo per paura di rappresaglie che sarebbero state certamente terribili, offensive e avrebbero reso le mie visite al santuario ancora più provanti e pericolose, ma quando ho visto che aveva messo a soqquadro la nostra “cucina”, quella grande “scatola dei ricordi”, facendo sparire un simbolo importante della nostra memoria collettiva, un vero e proprio focolare del santuario dove avevamo condiviso tanti pasti con amic* e compagn* al lume della stufa, dove erano stati suggellati tanti piani d’azione, allora ho capito che non dire nulla era lasciarci distruggere e che diventava necessario prendere le armi piuttosto che cercare di essere l’eterno conciliatore che salva le apparenze. Cancellò tutto dalle pareti di questa capanna, compresi i nomi degli animali morti a cui mi ero abituata a rendere omaggio, e buttò via i disegni, le foto e le dediche de* nostr* compagn*. Sono Ocho, Fantomas, Forest e tutt* l* altr* la cui memoria è stata calpestata e che non posso perdonare. “Partire da dove siamo” è sempre stato il nostro modo di lottare, che fosse la nostra cucina, il fango, il cemento dei mattatoi. Eravamo il “Noi-santuario”, quel luogo del mondo in cui eravamo conness* a tutto e definit* da ciascuna delle nostre connessioni piuttosto che in modo assoluto.

Certo, mi si può rimproverare di aver aperto gli occhi tardi. La vittima di un abuso è sempre colei che è colpevole di aver lasciato che accadesse, di aver permesso che accadesse, ma soprattutto colei che non ha saputo inventare un’altra strada, che ha perso l’opportunità di permettere all’altra persona di smettere di essere l’abusante. La vittima è sempre quella che crede di aver perso qualcosa. La vittima dovrebbe suscitare compassione, ma più spesso ispira un movimento di allontanamento. Prendiamo le distanze. Non vogliamo identificarci con il loro sfortunato destino. Risponderei che quando si ama e si condivide la vita della persona che adotta un comportamento dominante e autoritario, si tende a voler minimizzare questo comportamento e le sue conseguenze per preservare l’unico equilibrio costituito che tiene insieme me e la collettività. È tutto un insieme di relazioni, di socievolezza e di questioni di vario genere che vengono di fatto messe in discussione. Questo ci colpisce profondamente, sia a livello collettivo che individuale. L’immagine che avevo di me stessa era molto degradata.

Oggi prometto di fare di tutto perché questa terribile situazione non significhi la fine dell’esistenza o delle aspirazioni e delle azioni del “269 Libération Animale”, che non sarà mai utilizzata per promuovere la violenza, la mancanza di cameratismo, la seduzione degli sbirri, l’autoritarismo e soprattutto l'”animalismo cieco” che non si cura di chi si trova nelle sue file. Una volta che il rifugio sarà sicuro, faremo di tutto per poterci dedicare nuovamente alla lotta il prima possibile, con la stessa forza, con l* nostr* complici di ieri e di domani, che condividono i nostri valori di emancipazione e il nostro rifiuto di ogni forma di oppressione e collaborazione con le forze conservatrici e reazionarie.

Lotterò con tutte le mie forze per far sì che le 45 azioni intraprese dal 2016 ispirino altr*. Lotterò affinché gli sforzi che hanno portato alla creazione di una rete di collocamenti per gli animali liberati e di un gruppo di compagn* che si sono fidat* l’un* dell’altr* e hanno avuto l’audacia di realizzare azioni così belle e rischiose non siano vani. Compagn* capaci di mostrare insieme tanta bellezza, forza, potere politico e tecnica creativa. Non permetterò che una storia così bella venga infangata da idioti reazionari che non hanno capito la lotta e si sono impossessati del santuario. Non lascerò la mia famiglia nelle mani dei traditori.

Questa idea che l’intimo e il politico fossero legati: ci credo ancora molto, ma sotto forma di altre complicità, che siano tra simili o con gli animali. Ci troviamo in questa situazione di fallimento con un’intimità “disfunzionale”, oppressiva, perché tutto è stato costruito su questo legame, ma oggi si apre un nuovo campo di possibilità ed è su nuove intimità più sane che inventeremo e rafforzeremo la nostra lotta. La crisi che stiamo attraversando ci spinge a mettere in discussione altri modi di prendere decisioni. Le idee, l’inventiva, devono venire anche dalle riunioni, dalle proposte spontanee di ciascun*, dal dibattito, anche dal conflitto, ma nel rispetto di ognun*. Stiamo cercando di imparare da questo dramma per non doverlo rivivere. Dobbiamo rimettere al centro il collettivo, meno personalizzazione, più discussione e dibattito.

Sono ancora più devastata dal fatto che la lotta non sia mai stata così urgente e necessaria… Ma “269 Libération Animale” ne ha passate tante dal 2015, ha sempre saputo reinventarsi per mantenere questa pratica e teoria radicale, per uscirne più forte, per evolversi rapidamente per adattarsi al nemico, per mettersi in discussione, e sono convint* oggi che con l* nostr* compagn* riusciremo a trasformare questo dramma in una forza viva per il futuro. Dopo aver affrontato un tale dominio e tradimento, chi potrebbe ancora spaventarci e bloccarci la strada? Quando nel 2018 la sospensione delle condanne ha quasi fermato il collettivo, ci siamo ripres* sviluppando altre strategie di lotta ancora più efficaci. Abbiamo tolto gli animali dai macelli quando tutt* ci dicevano che era impossibile. Oggi il nemico è interno, ma lo combatteremo con lo stesso coraggio.

“269 Libération Animale è riuscita a fare dell’azione diretta una strategia rispettata e ispirata, si è federata al di là delle frontiere; è una straordinaria cassetta degli attrezzi, un catalizzatore che ha acceso la scintilla e acceso la miccia: è fuori discussione abbandonarla. Questo collettivo rimarrà la migliore speranza per una lotta radicale antispecista e non continueremo la lotta senza i nostri compagni animali al nostro fianco.

Vogliamo porre fine a questa crisi il prima possibile, in modo che il collettivo possa recuperare la sua ragione d’essere e le sue lotte, per riprogettare “269 Libération Animale” su una nuova forma di organizzazione. L’azione diretta, ma anche l’educazione popolare, l’assistenza e i gesti di solidarietà sono le modalità d’azione più potenti, complici del moltiplicarsi delle resistenze contro le strutture di oppressione e della tessitura di comunità di affetti di ogni tipo. Liberiamoci delle ideologie dominanti che incarnano tutto ciò contro cui stiamo lottando per pensare, agire e sentire insieme l’azione rivoluzionaria che si dispiega nelle nostre parole, nelle nostre esperienze, nei nostri corpi, nelle nostre relazioni, nei nostri modi di vivere e nei nostri gesti.

Tiphaine Lagarde

Note della traduzione

[1] Direzione dipartimentale per la protezione della popolazione.

[2] L’ITT si riferisce all’incapacità lavorativa totale o all’incapacità lavorativa temporanea. Tuttavia, non si riferisce solo all’impossibilità di svolgere le proprie mansioni professionali, ma anche quelle personali. Infatti, l’incapacità lavorativa totale si stabilisce quando una persona non può, per un certo periodo di tempo, svolgere le proprie mansioni quotidiane.