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Quale Liberazione Animale? Critica all’attivismo vegano [ITA/ENG]

[eng below]

 

Introduzione

L’obiettivo di questo testo è analizzare i differenti modi operandi dei gruppi di attivismo più comuni, le idee dietro le loro azioni e le loro fallacie. Il testo è uno spunto di riflessione e una critica, e come tale va preso. Non voglio etichettare una persona in base alle proprie idee o incasellarla, ma porre le basi per un dibattito che sono sicurə gioverebbe a molte persone, inclusə me.

Per motivi di semplificazione ho deciso di tralasciare alcune critiche dando spazio a quelle, secondo me, più importanti. Ho cercato quindi di sviluppare un testo breve, semplice e scorrevole ma che centrasse i punti cardine del discorso.

Mi scuso in anticipo per alcune fonti riportate a piè di pagina in lingua inglese, ma non mi è stato possibile trovare ogni fonte in italiano.

La frammentazione

Come ogni altro movimento, quello vegano è frammentato ed è facile imbattersi in situazioni in cui molte energie vengano concentrate in “battaglie interne”, definibili anche “dibattiti vuoti”, prive di voglia di crescere e confrontarsi, piene di odio, competizione e saccenteria, incrementate sicuramente anche dall’uso dei social network. Nel movimento di liberazione animale troviamo in particolare due parti opposte e ben distinte che per semplificare chiamerò animalismo vegano riformista e antispecismo.

L’animalismo vegano riformista è l’attivismo più comune, spesso pacifista, che tra i suoi obiettivi principali vi è il cambio di alimentazione mondiale indirizzato al consumo vegetale e la riforma di leggi sul benessere animale che migliorino gradualmente la condizione da carceratз, fino alla sua completa abolizione. Spesso i gruppi che fanno parte di questo tipo di attivismo si auto-definiscono apolitici. Tante sono le sfumature e frammentazioni di questo tipo di gruppi e una persona che ne fa parte non per forza ha lo stesso pensiero di un’altra, ma questo è a grandi linee il quadro generale.

Alcuni gruppi appartenenti a questa tipologia sono Anonymous for the Voiceless, The Save Movement, Animal Equality, PETA, Essere Animali.

L’antispecismo è una teoria – o una direzione – che però trascina con sé pratiche diverse, da quelle meno a quelle più comuni. Esso si pone come obiettivo quello di andare fino alla radice di tutto ciò che è concatenato allo specismo e lavorare su quello. L’antispecismo rifiuta tutte le forme di discriminazione e lavora di conseguenza anche su altri tipi di oppressione, essendo per sua indole intersezionale [1], ergo una persona che si definisce antispecista e ha continuamente atteggiamenti razzisti o transfobici non ha ben capito di cosa si tratti. L’antispecismo si pone come obiettivo finale la liberazione della Terra e di ogni essere, indipendentemente dalla sua forma anatomica o specie/etnia/genere di appartenenza, ed asserisce che la liberazione o è per tuttз o non è. Ciò significa che l’antispecismo vede la liberazione delle altre specie intrinsecamente connessa alla liberazione umana e della Terra e che nessuna di queste può verificarsi senza le altre. Va da sé che questo tipo di teoria spinge verso tipi di attivismo più radicali e meno pacifisti.

Non voglio entrare troppo nel dettaglio, ma solo definire il mio pensiero in merito a queste due “fazioni”, anche se è bene specificare che non esiste sempre una differenza ferrea tra le due e che a volte alcune persone oscillano da una parte all’altra, per confusione, per pressioni o altro.

Voglio concentrare il focus sull’animalismo vegano riformista, perché lo considero fallace, contraddittorio e debole, se visto come mezzo per raggiungere la “liberazione animale”, anche se per esperienze personali anche i gruppi antispecisti non sono esenti da critiche, alcune delle quali coincidono con quelle riportate in questo testo.

La liberazione animale

Prima di poter discutere delle critiche abbiamo necessariamente bisogno di chiarire un punto fondamentale senza il quale non sarebbe possibile continuare: cosa si intende esattamente per “liberazione animale”. Teoricamente, entrambi i gruppi di pensiero mirano ad una presunta liberazione animale, ma il concetto di liberazione sembra talmente semplice da capire che alla fine lo si dà per scontato e si smette di dedicargli tempo e studio. Lanciando un’occhiata alla società umana industriale, possiamo vedere che l’essere umano ha ormai privatizzato tutte le terre una volta libere e abitate da umani e non umani senza che ci fosse un controllo sistemico degli ecosistemi. Nel tempo, la specie umana ha creato le dicotomie umano/natura e umano/animale, che hanno giustificato il controllo dei processi naturali e il dominio sulle altre specie, iniziando una guerra contro l’intero ecosistema. La nostra specie si definisce umana ancora prima di definirsi animale, amplificando la distanza tra noi e loro, come se noi non facessimo parte del regno animale. Vedere la liberazione non umana sconnessa da quella umana è insensato, perché l’essere umano è di fatto un animale oppresso dal sistema economico da egli stesso creato, pur giocando entrambi i ruoli di oppresso e oppressore.

 

Non mi dilungherò lanciando una critica approfondita al nostro sistema economico e ai suoi mezzi di repressione perché non è l’obiettivo di questo testo, ma ci tengo a sottolineare che quando parliamo di liberazione animale stiamo parlando anche di liberazione umana [2], e non può esistere liberazione umana in un sistema coercitivo e discriminante. Chi vive in una società occidentale e industriale ha imparato sin dall’infanzia ad essere specista, sessista, razzista e transfobicə. Prima in famiglia e dopo all’asilo impariamo le distinzioni di genere e diventiamo maschi e femmine, interiorizzando questi ruoli [3], così come interiorizziamo l’idea che le altre specie esistano per essere utilizzate da noi o che chi non ha un lavoro produttivo (per la società) sia unə fallitə. Non è colpa dell’individuo, ma dell’educazione e dei valori che assorbe dal contesto sociale a cui appartiene e dalle tradizioni che vengono tramandate di generazione in generazione. Il processo di liberazione inizia anzitutto nella mente di ognunə di noi ed è lì, a mio parere, che scatta la nostra responsabilità.

La liberazione non può non passare dalla decostruzione dei dogmi che abbiamo imparato.

La liberazione delle altre specie

Nel corso dei millenni, le specie utilizzate nel mercato (alimentare, dell’intrattenimento, del trasporto o altro) sono state private, oltre che della loro identità, anche della loro indipendenza. Attraverso un processo di deforestazione adottato in tutto il mondo, la specie umana ha distrutto l’habitat di molte specie (inclusa la propria) per fare spazio a fabbriche, città e monocolture intensive che impoveriscono il terreno. Sostenere che la maggior parte dell’inquinamento ambientale sia causato dagli allevamenti intensivi è un’affermazione corretta, ma incompleta.

Nella regione dello Champagne, in Francia, esistono chilometri e chilometri di viti che prendono il posto di foreste centenarie abbattute per fare spazio alla viticoltura, lasciando specie senza habitat e un panorama terrificante, ma che purtroppo affascina moltз, ignarз delle origini e delle conseguenze di tale vista. La multinazionale RWE, in Germania, distrugge foreste e villaggi per estrarre lignite [4], uccidendo così individui di specie che le abitano da millenni o costringendoli in spazi sempre più piccoli.

Esempi del genere potrebbero andare avanti all’infinito. Il concetto è semplice: il nostro sistema economico spinge gli esseri umani a distruggere ecosistemi per estrarre minerali e combustibili fossili funzionali alla sopravvivenza del sistema stesso. Arrivando al punto del discorso possiamo certamente dire che più passa il tempo, meno indipendenza hanno le poche specie che abitano libere. Può quindi esistere una liberazione delle altre specie parallelamente al dominio della specie umana sulla Terra? La risposta è no.

Una “rivoluzione vegana” non può in nessun modo liberare gli altri animali dal dominio umano, perché il tipo di attivismo che è stato portato avanti fin’ora non si è concentrato su quello, ma sul cambiamento del mercato e delle leggi. Abbiamo reso quasi tutta la superficie terrestre vivibile dalla sola specie umana, per cui riformare la società in chiave vegan non ci porterà mai ad una situazione in cui le altre specie possano riacquisire la loro indipendenza, perché non avrebbero spazio. La supremazia umana rende impossibile la liberazione delle altre specie. La nostra società è pensata e costruita a misura d’umano. Se anche un animale allevato riuscisse a ribellarsi e a scappare dal luogo in cui è detenuto, sarebbe comunque impossibilitato nel trovare la propria libertà, perché l’ambiente intorno a sé sarebbe sotto il controllo umano e gli apparati statali farebbero di tutto per dargli la caccia. Qualcuno di loro sarà fortunato e troverà rifugio presso strutture organizzate, molti verranno riportati indietro, ma in ogni caso nessuno riuscirà ad uscire dallo schema del dominio umano, eccetto in qualche rara occasione. [5]

I rifugi non possono essere visti come una soluzione in un’ipotetica società vegana. I rifugi sono progetti sotto il controllo umano e che per motivi logistici non lasciano autonomia alle specie che ci abitano, ma sono un buon compromesso se visti in un’ottica di transizione verso una società libera. La liberazione umana e la liberazione non umana si fondono quindi in un’unica liberazione e verso un obiettivo finale comune: la liberazione dal dominio dell’umano sulla Terra e dai dogmi che sono stati costruiti e assimilati.

Non importa che l’obiettivo sia lontano e apparentemente irraggiungibile, ma che si inizi un percorso verso quella direzione.

L’animalismo vegano riformista

Dopo anni all’interno di gruppi come Anonymous for the Voiceless arrivai ad un punto in cui non sentii più le mie azioni allineate con i miei valori. Sviluppai delle critiche, anche grazie a persone in gamba a me vicine, ed iniziai a chiedermi a lungo andare a cosa avrebbe portato quel tipo di attivismo. In che modo avrei potuto aiutare queste anime imprigionate facendo diminuire il consumo dei loro corpi? L’aumento di consumo di prodotti vegani è davvero indice di un cambiamento positivo? È giusto chiedere cambi di legge allo stesso stato che quegli esseri viventi li ha imprigionati?

Alla arrivai alla conclusione di stare illudendo me stessə e chi mi stava intorno.

Veganizzazione

La logica consumista portata avanti dai gruppi menzionati si appoggia ad un puro concetto economico secondo cui più prodotti vegetali verranno consumati, meno non umani moriranno, ragionando secondo il paradigma della domanda e dell’offerta. Pur capendo ed aver creduto anch’io in questa logica, ci sono dei pezzi mancanti. Anzitutto, non stiamo considerando che la popolazione umana aumenta di circa 240.000 unità al giorno [6] e che una grande maggioranza di questa sarà consumatrice di prodotti animali; si aggiunga il fatto che possiamo considerare il paradigma della domanda e dell’offerta come qualcosa di estremamente semplificato, dato che non si tiene in conto della complessità del sistema economico. Se la logica della domanda e dell’offerta funzionasse per come la conosciamo, non ci sarebbero quasi un miliardo di tonnellate di cibo buttate nella spazzatura ogni anno. [7]

Infatti le grandi aziende, in questo caso quelle rientranti nel settore alimentare, producono un surplus che, se non venduto, viene smaltito (parliamo di cibo totalmente commestibile). Basta fare un giro notturno nei cassonetti dei supermercati vicino casa per vedere quanto cibo viene buttato in un solo giorno. Inoltre, ignoriamo l’impressionante potenza delle pubblicità, in grado di spingere l’offerta di un prodotto per stimolarne la domanda (ad esempio tramite offerte/sconti/saldi). Provare a spingere sul cambio di alimentazione non metterà in pericolo l’industria zootecnica, ma spingerà la gente a ridurre il consumo di corpi animali senza necessariamente avvicinarsi al loro boicottaggio o al percorso di decostruzione dello specismo.

Tra l’insorgenza di malattie cardiovascolari e tumori e il finto ecologismo abbracciato da molte multinazionali, le industrie promuovono un “capitalismo verde” [green-washing] che spinge la gente a consumare più vegetali e surrogati di prodotti animali, vendendo spesso il veganismo come stile di vita o alimentazione sana da seguire per rimanere in salute e rispettare la Terra. Come abbiamo già detto, la distruzione degli ecosistemi è dovuta solo in parte all’industria zootecnica. Pensare di “rispettare gli ecosistemi” esclusivamente cambiando alimentazione e senza mettere in discussione il proprio stile di vita nel suo complesso significa decidere di illudersi. Il boicottaggio stesso dei prodotti prende una certa consistenza solo quando questo è adottato su larga scala e in modo mirato. Non bisogna scoraggiarsi e smettere di parlare di specismo alle persone, ma cercare di essere realistз e provare a mollare l’idea che la rivoluzione possa avvenire attraverso il consumo. Il consumo di carne è destinato ad aumentare [8] e il numero di persone che si interessano al veganismo non potrà mai eguagliare il numero di persone che consumano prodotti animali.

Il consumismo vegano cerca spesso di dividere i prodotti in “crudeli” e “non crudeli” e quelli realizzati senza sfruttamento animale rientrano nella categoria “non crudeli”, perché nessun non umano è stato usato nel processo. Ma cosa significa “non crudele”? La produzione di cibo in questo sistema economico è imprescindibilmente crudele, poiché sfrutta e distrugge l’ecosistema e di conseguenza chi ne fa parte: impossessamento e disboscamento di terreni, impoverimento della terra causato dalla monocoltura intensiva, inquinamento causato dal trasporto (specialmente se pensiamo ai molti prodotti esotici che sono visti come “cruelty-free”), utilizzo di pesticidi, condizioni di vita e basso salario della manovalanza sono solo alcuni esempi. Le multinazionali che vengono pressate e supportate affinché cambino il loro business in “verde” sono le stesse che impoveriscono i terreni con monoculture intensive, distruggono habitat di persone umane e non umane e inquinano l’atmosfera con enormi emissioni di CO2. Una versione verde del nostro sistema economico non può essere più sostenibile di quella attuale, perché si baserebbe comunque sullo sfruttamento delle terre e l’estrazione delle “risorse” su larga scala, e sarebbe destinato ad aumentare se consideriamo la continua crescita della specie umana.

Messaggio depotenziato

Alcunз sostengono che non importa perché una persona inizi un percorso verso il veganismo, l’importante è che lo faccia. La motivazione dietro questa affermazione è che “ognunə ha un proprio percorso e il proprio tempo”, e fin qui siamo pienamente d’accordo. Il problema, però, sta proprio nel mandare il tipo di messaggio che non sia coerente con laliberazione animale che ci prefiggiamo, ovvero un messaggio depotenziato per poter risultare commestibile a chiunque, inquinato e privato del suo vero significato. Evitare di parlare di specismo e di quello che comporta, supponendo che “la gente non capirebbe”, significa sabotare i significati stessi di veganismo e antispecismo. Significa mandare un messaggio meramente consumista e/o pietista, scegliendo la via più semplice, a discapito di una più complessa. Sono consapevole che parlare di argomenti come lo specismo e l’antropocentrismo sia complicato e che non sia possibile farlo con chiunque. Se però smettessimo di vedere il “consumismo vegano” e la “liberazione animale” come due strade, la prima più semplice e la seconda più complicata, che portano allo stesso risultato, ed iniziassimo invece a vederle come due percorsi completamente diversi che portano ad obiettivi diametralmente opposti, ci accorgeremmo anche che le nostre argomentazioni inizierebbero a prendere una forma più logica e più comprensibile per chi è un minimo interessatə all’argomento. È sicuramente molto più facile agire in modo da non mettere in dubbio le nostre convinzioni e continuare a viziarci nella nostra comodità, ma se decidiamo di rimanere nella nostra zona di comfort forse è il caso di farci delle domande e capire sul serio perché facciamo ciò che facciamo.

La veganizzazione a tutti i costi è spinta dalla voglia di aumentare i numeri delle persone vegane e dei prodotti vegani sugli scaffali, vedendo il tutto come indice di cambiamento positivo. Non nego che alcuni cambiamenti (economici e legali) abbiano probabilmente reso più semplice affrontare l’argomento dello specismo, tuttavia ci si basa sull’illusione di un progresso prendendo come unità di misura il numero di prodotti industriali nei negozi, ma finché non si discuterà in profondità su quanto e come lo specismo sia radicato in noi, sarà impossibile estirparlo dalle nostre menti, con o senza macelli. La società umana è antropocentrica e non lascia indipendenza alle altre specie: che sia in una società vegana o meno, questo non sfida nessun modo la posizione di supremazia della nostra specie sull’ecosistema e quindi anche sui non umani.

Convincimento

La veganizzazione passa attraverso un processo di convincimento. Così la persona di fronte a noi non deve più essere informata sullo specismo tramite un dibattito costruttivo in modo da prendersi il proprio tempo per elaborare il tutto, ma deve essere convinta, pacatamente e a volte in modo passivo-aggressivo, mascherando il dibattito in quella che viene chiamata “informazione”. [9]  Le conversazioni tra attivista vegan e “passante mangia-animali” si trasformano spesso in una gara a chi è più convincente e chi ha più ragione. Il focus è spesso quello di vincere il dibattito, piuttosto che uscirne arricchitə, e se la persona di fronte a noi non viene convinta allora ciò viene vista come una sconfitta. Questo senso di impotenza, nato dall’idea che siamo responsabili di risolvere determinati problemi e che se non lo facciamo allora abbiamo fallito, dà il suo contributo alla nascita di esaurimenti nervosi molto presenti in gruppi impegnati in temi sociali, che spesso e volentieri non curano la sfera psicologica dell’individuo.

Pornografia del dolore

Maiali castrati, pulcini triturati, percosse e uccisioni, il tutto accompagnato da tristi brani musicali scelti ad hoc. Queste immagini sfruttano l’emotività di chi li guarda e fanno leva sulla pietà e il senso di colpa (che possiamo considerare retaggi della morale cristiana), provando quindi a portarlə alla veganizzazione. Non rifiuto l’idea di mostrare ciò che succede all’interno di quei luoghi di morte e sfruttamento, ma credo che strumentalizzare queste immagini sia distruttivo. Questa strumentalizzazione alimenta una pornografia del dolore simile a quella impiegata da diverse “organizzazioni umanitarie” (es. mostrarti un bambino che muore di fame per indurti a donare denaro). Sappiamo che l’obiettivo di alcuni gruppi non è quello di guadagnare denaro, ma il concetto alla base è analogo. Mostrare video di animali sofferenti, piuttosto che di animali che si ribellano, è il culmine di un processo di invisibilizzazione della loro abilità di agire e del loro silenziamento. Inoltre, da un punto di vista pratico, mostrare video di ribellioni è più efficace perché smonta immediatamente il concetto di animale macchina che abbiamo interiorizzato: gli atti di ribellione parlano da soli, o meglio, permettono di “dare loro parola”. [10]

Vulnerabilità

Mostrare ciò che viene tenuto nascosto ha la sua importanza, tuttavia ogni caso va valutato singolarmente, considerando anche che l’attivismo a cui si è fatto riferimento in precedenza vede coinvolte persone che, passeggiando per strada, si ritrovano di fronte ad uno scenario inaspettato.

Ci sono persone che potrebbero iniziare a star male solo sentendo la parola “sangue”, figuriamoci vedere determinati video violenti senza consenso. Mostrare video cruenti per strada non solo distrugge una comunicazione essenziale da parte degli animali non umani, ma ignora anche il consenso di chi, per qualsiasi motivo, non riesce a vedere certe immagini. Distruggere il consenso di una persona su argomenti così delicati può portarla a stare male per giorni o più e l’atto di mostrare video cruenti viene visto come una violenza di per sé, e alla fine non sarà stato comunque determinante per “convincerla”. Il fatto che alcune persone affermino di essere cambiate istantaneamente alla vista di certe immagini non vuol dire che funzioni con tuttз. Ho conosciuto attivistз iniziare ad approcciarsi al veganismo dopo essere statз offesз in quanto non veganз, ciò non significa che sia una tattica che in genere funzioni.

Le informazioni che vengono fornite possono essere viste forse come un aiuto, ma non saranno determinanti. Non è fondamentale il cosa viene o non viene mostrato, ma il percorso della persona che abbiamo di fronte. L’argomento della violenza nella nostra società è delicato e va accettato il fatto che alcune persone non riescano o non vogliano vedere certe immagini, e non andrebbero mai forzate a farlo. Mostrare video cruenti per strada con schermi sempre più grandi è un’imposizione pericolosa, oltre ad essere inutile alla causa. Il dibattito sullo specismo non necessita di queste immagini: se una persona vuole mettersi in discussione, lo farà a prescindere dai video che guarderà.

Auto-celebrazione

Un’altra cosa che ho notato in questi anni è che nell’ambiente dell’animalismo vegano si ha la tendenza ad idolatrare alcune persone o alcuni gruppi. Cene, eventi e incontri organizzati in cui ci si auto congratula dell’operato e in cui si discute su come la strada verso il vegan sia sempre più aperta e veloce. Con la spinta dei social network è ormai facile costruire dei veri e propri personaggi grazie al veganismo, alimentando il proprio ego con video o lunghi post filosofici. Qualcunə di loro è anche riuscitə a farsi soldi o a guadagnare “fama”. La campagna della veganizzazione è portata avanti da massime come “salva gli animali, non mangiarli” o “diventando vegan salvi 200 animali all’anno” e così via, che ancora una volta spostano l’attenzione dagli animali non umani a noi. La specie umana ha imparato così bene a colonizzare e ad impossessarsi di ciò che non le appartiene che si appropria anche delle lotte altrui, mettendosi in prima linea, non come supporto ma come principale agente, e cerca di far sentire la persona vegana comune come un’eroina da stimare che sta salvando degli esseri indifesi, dimenticando l’obiettivo finale. Alcune persone hanno fatto dell’essere “vegan” la propria personalità, costruendo un’immagine per guadagnare soldi e fama come delle imprenditrici. Sembra quasi che il veganismo sia spesso feticizzato per creare un’immagine e guadagnare soldi e/o fama (che sia all’interno di un piccolo gruppo o di uno più vasto). Alcune persone che si spingono oltre l’asta della legalità [11] sentono spesso il bisogno di parlarne perché queste cose fanno sentire forti, potenti, utili, creano miti. Il ruolo del “salvatore” è interiorizzato da molte persone e l’atto di aiutare fisicamente qualcunə in difficoltà viene inconsapevolmente usato come carburante per l’ego. Spesso chi gioca il ruolo del salvatore ha in sé un alto livello di mascolinità, di fatto il ruolo viene spesso (anche se non sempre) incarnato da maschi cisessuali. [12]

Pacifismo e nonviolenza

Credo che questo sia l’argomento più scottante che spesso divide le persone in due poli: chi crede che la violenza sia sempre sbagliata e che il cambiamento vada conseguito attraverso la riforma delle leggi, e chi crede che la violenza sia l’unico modo per aiutare concretamente chi è in una situazione di oppressione. I concetti di nonviolenza e violenza sono sempre divisi drasticamente tra bianco e nero, tra giusto e sbagliato. Non sono visti come due mezzi da utilizzare per raggiungere un determinato fine, ma come due strade irreversibili, oserei dire due ideologie. Fermo restando che considero la nonviolenza e la violenza come due differenti mezzi da usare in base alle circostanze, e senza addentrarmi troppo nel significato di “violenza”, vorrei sottolineare che chi parla di pacifismo  nonviolenza viene spesso da una posizione di privilegio.

La violenza è da sempre stata usata da gruppi oppressi verso i gruppi che li opprimevano. Gli animali non umani imprigionati nei luoghi di detenzione ricorrono continuamente alla violenza per resistere e ribellarsi, ma le loro azioni vengono ignorate e silenziate anche dalle stesse persone che teoricamente supportano la loro lotta. Il silenziamento avviene anche portando avanti l’idea che il sabotaggio dei mezzi e dei luoghi del loro sfruttamento sia sbagliato. Anche questo è un pensiero specista comune nell’ambiente vegano. Se in quei luoghi ci fossero, ad esempio, bambinз umanз, le azioni di sabotaggio sarebbero giustificate e supportate dalla maggioranza. Ciò denota che in questo movimento (ma in generale nella nostra società) non è rilevante l’uso della violenza di per sé ma per chi viene usata.

La violenza è un mezzo di liberazione e gli atti di sabotaggio possono essere usati per dare vita a dibattiti importanti. Non si parla quindi di violenza gratuita e crudele verso innocenti, ma violenza usata con cognizione di causa, che non mira direttamente alle persone bensì alle loro ideologie e ai dispositivi (fisici e non) di oppressione. È sempre facile sostenere nonviolenza e pacifismo quando lз oppressз non siamo noi.

Campagne riformiste

Chiedere allo stato di “migliorare” gli allevamenti o le condizioni di chi vi vive significa scendere a patti con gli oppressori degli animali non umani. Le campagne di pressione e in genere le campagne legali possono essere d’aiuto se abbinate ad altri tipi di azioni e se mirate allo smantellamento immediato di determinate dinamiche oppressive. [13] Chiedere migliori condizioni per gli animali nei macelli e negli allevamenti è essenzialmente girare attorno al problema rafforzando lo specismo che li tiene imprigionati. Lo sfruttamento di animali non umani è uno dei pilastri portanti della nostra economia e senza di esso il sistema crollerebbe. Le istituzioni statali non hanno interessi nello smantellare lo specismo, ma nel mantenerlo.

Apoliticità

Molti gruppi di attivismo si auto-definiscono “apolitici”. Ma che significa essere apolitichз?

Il dizionario riporta la seguente definizione: “Che è estraneo alla politica, che non professa o non aderisce ad alcuna fede o opinione politica.

Eppure, mi risulta molto difficile credere che ci sia una persona priva di un’opinione politica. L’attivismo da strada è di per sé l’espressione di un’opinione politica. Quando si parla di politica non ci si riferisce necessariamente ai partiti di cui fanno parte quelle persone che noi definiamo “politici”, ma a tutta una serie di idee, valori e opinioni che si hanno sulla nostra società. Di fatto il veganismo e l’antispecismo non possono essere apolitici perché nascono in contesti politici e vengono alimentati da idee politiche. Definirsi apoliticə è pericoloso e ambiguo perché apre la porta ad una serie di gruppi e persone che, ad esempio, sfruttano il veganismo per accaparrarsi voti e persone nella politica dei partiti, magari lanciando campagne per la salvaguardia degli animali in pericolo nel territorio. [14]

Una volta ho sentito una persona dire “non mi importa se una persona che salva gli animali si dichiara fascista o meno, l’importante è che li salvi”.

È importante che lo spazio all’interno di un gruppo rimanga il più sicuro possibile per chiunque, e dare priorità ad una lotta invece che ad un’altra, lasciando spazio ad individui che divulgano messaggi di odio, mette in pericolo la sicurezza e la stabilità emotiva degli individui del gruppo, oltre a criticarne le diversità. I gruppi apolitici sono una contraddizione, e spesso l’apoliticità in questi gruppi è affiancata al concetto dell’inclusività. L’inclusività, generalmente, viene vista con accezione positiva, ma in questi contesti prende una forma malsana e include personaggi che, ad esempio, promuovono idee xenofobiche e sessiste e a cui viene data la libertà di far parte di gruppi in cui saranno presenti persone che soffriranno della loro presenza.

Conclusione

Trovare soluzioni a determinati problemi non è mai facile. Ogni persona è diversa e ha esigenze e storie diverse e sarebbe da presuntuosз pensare di avere una soluzione univoca per tuttз. Quello che però sono sicurə sia importante e sano fare è puntare sulla comunicazione: aprirsi alle critiche, accettare il fallimento, distruggere la saccenteria e l’egocentrismo nelle nostre menti, creare spazio per dibattiti costruttivi etc… Confrontarsi con le altre persone (attivistз vegan e non) rende la strada verso eventuali soluzioni più possibile.

Sviluppare uno spirito critico è fondamentale, soprattutto in contesti in cui alcune personalità più forti sovrastano quelle meno forti facendo credere loro che il proprio modo di operare sia migliore.

 

Taro Colocasia

Note

[1] Intersezionalità è un termine coniato dalla femminista nera Kimberlé Crenshaw alla fine degli anni ‘80 e analizza i modi in cui i sistemi di disuguaglianza basati su genere, razza, etnia, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, classe e altre forme di discriminazione si intersecano per creare dinamiche ed effetti unici. Le forme di disuguaglianza si stratificano e si rafforzano a vicenda e devono quindi essere analizzate e affrontate simultaneamente per impedire ad una di rafforzarne un’altra.

[2] Quando parlo di liberazione umana non mi riferisco solo alla liberazione dal sistema economico, ma anche da altri costrutti umani, come quello sui generi e sulle razze.

[3] Un testo molto interessante: How do we learn gender?

[4] Si veda Hambach: Una foresta millenaria trasformata in un’industria del carbone.

[5] È il caso delle Vacche Ribelli in Liguria (https://vimeo.com/221235876).

[6] Si consultino le stime qui riportate: Medindia: World Population Clock.

[7] La grande distribuzione organizzata risulta essere responsabile del 15% del totale del cibo sprecato (Stime di cibo buttato in italia e nel mondo). Qui trovate un’analisi condotta su dati FAO: Quasi 1 miliardo di tonnellate di cibo nel bidone.

[8] Enormi macelli come quello del gruppo Pini in Spagna continuano a venire costruiti e a guadagnarsi i titoli di “macelli più grandi d’Europa/del mondo”.

[9] Anni fa qualcunə parlò anche di “psicologia inversa”.

[10] A tal proposito suggerisco vivamente di leggere le storie di animali ribelli raccolte qui: https://resistenzanimale.noblogs.org/

[11] Qui si fa riferimento ad azioni dirette, come la liberazione di non umani dagli allevamenti o il sabotaggio dei mezzi funzionali al loro sfruttamento.

[12] A proposito della connessione tra mascolinità e “sindrome del salvatore” consiglio di leggere questo testo: Patriarchy and speciesism.

[13] Si veda Green Hill: frammenti di una storia di liberazione

[14] Per approfondire: Conoscerli per isolarli, isolarli per eliminarli.

Testi consigliati

Brian A.D., Liberazione Animale e Rivoluzione Sociale;

Steven B., Liberazione totale. La rivoluzione del 21° secolo, Ortica Editrice, 2017;

Sarat C., Animali in rivolta. Confini, resistenza e solidarietà umana, Mimesis, 2017;

Massimo F., Questioni di specie, Elèuthera, 2017;

Gianfranco M, Raffaella C., Benedetta P, Dalla predazione al dominio. La guerra contro gli animali, Cortina libreria Milano, 2017;

Carol J. A., Carne da macello. La politica sessuale della carne, Vanda Edizioni, 2020;

Aph K, Syl K, Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero, Vanda Edizioni, 2020;

Rasmus S., Manifesto Queer Vegan, Ortica Editrice, 2014.


ENG:

What Animal Liberation? Critique of Vegan Activism

Introduction

The goal of this text is to analyze the different modi operandi of the most common activism groups, the ideas behind their actions and their fallacies. The text is food for thought and a critique, and should be taken as such. I do not want to label a person based on their ideas or frame them, but to lay the groundwork for a debate that I am sure would benefit many people, including myself.

For the sake of simplification, I have decided to leave out some of the criticisms while making room for the ones I think are most important. I have therefore tried to develop a short, simple and fluent text, but one that hits the key points of the discourse.

I apologize in advance for some of the sources listed at the bottom of the page in English, but it was not possible for me to find every source in Italian.

Fragmentation

Like any other movement, the vegan one is fragmented and it’s easy to come across situations where a lot of energy is concentrated in “internal battles”, also called “empty debates”, with no desire to grow and confront each other, full of hatred, competition and arrogance, certainly increased by the use of social networks. In the animal liberation movement we find in particular two opposite and distinct parts that to simplify I will call reformist vegan animalism and anti-specism.

The reformist vegan animalism is the most common activism, often pacifist, which among its main objectives aims to change the world diet to vegetable consumption and reform of laws on animal welfare that gradually improve the condition of prisoners, until its complete abolition. Often the groups that are part of this type of activism are self-described as apolitical.
There are many nuances and fragmentations of this type of groups and a person who is part of it does not necessarily have the same thought as another, but this is the general picture. Some groups belonging to this category are Anonymous for the Voiceless, The Save Movement, Animal Equality, PETA, Essere Animali.

Antispecism is, however, a theory, but that drags with it different practices, from the least to the most common.
It aims to get to the root of everything that is linked to speciesism and work on that. Anti-specism rejects all forms of discrimination and works accordingly on other types of oppression and is by its nature intersectional¹, and therefore a person who calls themselves an anti-specist and constantly has racist or transphobic attitudes has not really understood what it is about.
Antispecism sets as its ultimate goal the liberation of the Earth and every being, regardless of their anatomical form or species/ethnicity/gender affiliation, and asserts that liberation is either for all of us or it is not. This means that anti-speciesism sees the liberation of other species as intrinsically linked to human and Earth liberation and that none of these can occur without the others.
It goes without saying that this kind of theory pushes towards more radical and less pacifist types of activism.

I don’t want to go into too much detail, but just define my thoughts about these two “factions,” though it’s good to specify that there isn’t always an irrefutable difference between the two and that sometimes some people swing from one side to the other, out of confusion, social pressures or whatever.

I want to focus on reformist vegan animalism, because I consider it fallacious, contradictory and weak, if seen as a means to achieve “animal liberation”, although from personal experience even anti-speciesist groups are not exempt from criticism, some of which coincide with those reported in this text.

Animal liberation

Before we can discuss the criticism we necessarily need to clarify a fundamental point without which it would not be possible to continue: what exactly is meant by “animal liberation”.
Theoretically, both groups of people aim at a supposed animal liberation, but the concept of liberation seems so simple to understand that in the end we take it for granted and stop dedicating time and study to it.
Casting a glance at industrial human society, we can see that human beings have now privatized all the lands that were once free and inhabited by humans and non-humans without systemic control of nature. Over time, the human species has created the human/nature and human/animal dichotomies, which have justified the control of natural processes and domination over other species, starting a war against the entire ecosystem.
Our species defines itself as human even before it defines itself as animal, amplifying the distance between us and them, as if we are not part of the animal kingdom.

To see non-human liberation disconnected from human liberation is nonsensical, because the human being is in fact an animal oppressed by the economic system he created, while playing both roles of oppressed and oppressor.

I won’t go into detail by launching an in-depth critique of our economic system and its means of repression and oppression, because it is not the aim of this text, but I want to emphasize that when we talk about animal liberation we are also talking about human liberation², and there can be no human liberation in a coercive and discriminating system.

Those who live in a Western, industrial society have learned from childhood to be speciesist, sexist, racist, and transphobic.
In kindergarten we learn gender distinctions and it is there that we become male and female and internalize these roles³ , just as we internalize the idea that other species exist to be used by us or that anyone who doesn’t have a productive job (for society) is aə failure.
This is not the fault of the individual, but of the upbringing and values that they absorb from the social context to which they belong and the traditions that are passed down from generation to generation.
The process of liberation begins first of all in the mind of each one of us and it is there, in my opinion, that our responsibility is triggered.

Liberation cannot but pass through the deconstruction of the dogmas we have learned.

The liberation of other species

Over the millennia, species used in the market (food, entertainment, transportation or other) have been deprived not only of their identity, but also of their independence. Through a process of deforestation adopted worldwide, the human species has destroyed the habitat of many species (including its own) to make room for factories, cities, and intensive monocultures that deplete the land.
Claiming that most environmental pollution is caused by intensive livestock farming is a fair, but incomplete, statement.
In the Champagne region of France, there are miles and miles of vines taking the place of centuries-old forests that have been cut down to make room for viticulture, leaving species without habitat and a terrifying, but unfortunately fascinating, landscape for many, unaware of the origins and consequences of such a view.
The multinational company RWE, in Germany, destroys forests and villages to extract lignite¹¹, thus killing individuals of species that have inhabited them for millennia or forcing them into smaller and smaller spaces.

Such examples could go on and on. The concept is simple: our economic system pushes human beings to destroy ecosystems in order to extract minerals and fossil fuels functional to the survival of the system itself.

Getting to the point of the argument we can certainly say that the more time passes, the less independence the few species that live free have.

Now I (re)ask myself: can there be a liberation of other animal species parallel to the dominance of the human species on Earth?
The answer is no.
A “vegan revolution” can in no way liberate non-humans from human domination, because the kind of activism that has been carried out so far has not focused on that, but on changing the market.
We have made almost the entire surface of the earth livable by the human species alone, so reforming society in a vegan way will never lead us to a situation where other species can regain their independence, because they would have no place.
Human supremacy makes the liberation of other species impossible.
Our society is designed and built on a human scale.
Even if a farmed animal managed to rebel and escape from its place of confinement, it would still be unable to find its freedom, because the environment around it would be under human control and the state apparatus would do everything possible to hunt it down.
Some of them will be lucky and find refuge in organized facilities, many will be brought back, but in any case no one will be able to get out of the pattern of human domination, except on a few rare occasions¹² .

Sanctuaries cannot be seen as a solution in a hypothetical vegan society. Sanctuaries are projects that are under human control and that for logistical reasons do not allow autonomy to the species that live in them, but they are a good compromise when viewed from the perspective of transition to a better society.

Human liberation and non-human liberation thus merge into a single liberation and towards a common end goal: liberation from human dominance on Earth and the dogmas that have been constructed and assimilated .

It doesn’t matter that the goal is far away and seemingly unattainable, but that we begin a journey towards that direction.

Reformist vegan animalism

After years in groups like Anonymous for the Voiceless, I reached a point where I no longer felt my actions aligned with my values. I developed criticisms, thanks in part to good people close to me, and began to wonder in the long run what that kind of activism would lead to. How could I help these imprisoned souls by decreasing the consumption of their bodies? Is the increased consumption of vegan products really an indication of positive change? Is it fair to demand law changes from the same state that imprisoned those living beings?
In the end, I came to the conclusion that I was fooling myself and those around me.

Veganization

The consumerist logic pursued by the mentioned groups relies on a mere economic concept that the more plant products are consumed, the less non-humans will die, thinking according to the paradigm of supply and demand.
While I understand and have also believed in this logic, there are missing pieces. First of all, we are not considering that the human population is increasing by about 240,000 per day¹³ and that a large majority of this will be consumers of animal products;
Add to that the fact that we can consider the paradigm of supply and demand as an old story that no longer holds water. If the logic of supply and demand worked as we know it, there would not be nearly a billion tons of food thrown in the trash every year²¹. In fact, large companies, in this case those in the food sector, produce a surplus that, if not sold, is disposed of (we are talking about totally edible food). Just take a nightly tour of the supermarket bins near your home to see how much food is thrown away in a single day.

In addition, we ignore the impressive power of advertising, which can push the supply of a product to stimulate demand for it (for example through offers/discounts/sales). Trying to push for dietary change will not endanger the livestock industry, but it will push people to reduce their consumption of animal bodies without necessarily approaching their boycott or the path of deconstructing speciesism.

Between the outbreak of cardiovascular diseases and cancers and the fake environmentalism embraced by many corporations, industries are carrying on a greenwashing that pushes people to consume more vegetables and animal product substitutes, often selling veganism as a lifestyle or healthy diet to be followed to stay healthy and respect the Earth. As we have already mentioned, the destruction of ecosystems is only partly due to the livestock industry.
Thinking of respecting the planet only by changing diet and without questioning one’s lifestyle as a whole means deciding to delude oneself.
The boycott of products itself takes a certain consistency only when it is adopted on a large scale and in a targeted way.
One should not get discouraged and stop talking to people about speciesism, but try to be realistic and try to let go of the idea that the revolution can happen through consumption.

Meat consumption is bound to increase²² and the number of people interested in veganism will never match the number of people who consume animal products.

Vegan consumerism often tries to divide products into “cruel” and “non-cruel” and those made without animal exploitation fall into the “non-cruel” category because no non-humans were used in the process.
But what does “cruelty-free” mean?
The production of food in this economic system is inescapably cruel, since it exploits and destroys the ecosystem and consequently those who are part of it: land grabbing and deforestation, land impoverishment caused by intensive monoculture, pollution caused by transport (especially if we think of the many exotic products that are seen as “cruelty-free”), use of pesticides, living conditions and low wages of labor are just a few examples.
The multinationals that are being pressured and supported to change their business to “green” are the same ones that are impoverishing the land with intensive monocultures, destroying human and non-human habitats and polluting the atmosphere with huge amounts of CO2.
A green version of our economic system cannot be more sustainable than the current one, because it would still be based on the exploitation of land and the extraction of “resources” on a large scale and would be destined to increase, if we consider the continuous growth of the human species.

Depowered message

Some argue that it doesn’t matter why a person starts on a vegan path, all that matters is that they do.

The motivation behind this statement is that “everyone has their own path and their own time,” and so far we are in full agreement.
The problem, however, lies in sending this kind of message: a message depowered in order to be edible to anyone, polluted and deprived of its true meaning.
To avoid talking about speciesism and what it entails, assuming that “people wouldn’t understand,” is to sabotage the very meanings of veganism and anti-specism. It means sending a purely consumerist message, choosing the simplest way, at the expense of a more complex one.
I am aware that talking about topics such as specism and anthropocentrism is complicated and that it is not possible to do it with everyone.
However, if we stopped seeing “vegan consumerism” and “animal liberation” as two paths, the first simpler and the second more complicated, leading to the same result, and instead began to see them as two completely different paths leading to diametrically opposed goals, we would also find that our arguments would begin to take a more logical and understandable form for those who are a little interested in the subject.
It’s certainly much easier to act in a way that doesn’t challenge our beliefs and continue to spoil ourselves in our comfort zone, but if we decide to stay in our comfort zone maybe it’s time to ask ourselves some questions and really understand why we do what we do.

Veganization at all costs is driven by the desire to increase the numbers of vegan people and vegan products on the shelves, seeing it as an indication of positive change.
I won’t deny that some changes (economic and legal) have probably made it easier to address the topic of speciesism, however we rely on the illusion of progress by taking the number of industrial products in stores as a unit of measure, but until we have a deep discussion about how much and how speciesism is ingrained in us, it will be impossible to eradicate it from our minds, with or without slaughter.
Human society is anthropocentric and leaves no independence to other species: whether in a vegan society or not, this in no way undermines our species’ control over the ecosystem and thus over non-humans.

Persuasion

Veganization goes through a process of persuasion. So the person in front of us no longer has to be informed about speciesism through constructive debate by taking their time to process it, but has to be convinced, quietly and sometimes passively-aggressively, masking the debate in what is called “information”²³.
Conversations between vegan activist and “meat-eating bystander” often turn into a contest of who is more convincing and who is more right. The focus is often on winning the debate, rather than coming out enriched, and if the person in front of us is not convinced, then it is seen as a defeat. This sense of powerlessness, born of the idea that we are responsible for solving certain problems and that if we don’t then we have failed, lends its contribution to the emergence of nervous breakdowns that are very present in groups engaged in social issues, which often and willingly do not attend to the psychological sphere of the individual.

Pornography of pain

Castrated pigs, shredded chicks, beatings and killings, all accompanied by sad pieces of music chosen for the purpose. These images exploit the emotionality of the viewer, trying to lead them to veganization. I do not reject the idea of showing what happens inside those places of death and exploitation, but I believe that instrumentalizing these images is destructive.
This instrumentalization creates a pornography of pain similar to that employed by various “humanitarian organizations” (e.g. showing you a starving child to get you to donate money). We know that the goal of some groups is not to make money, but the underlying concept is similar.
Showing videos of suffering animals, rather than animals fighting back, is the culmination of a process of invisibilizing their ability to act and silencing them. Moreover, from a practical point of view, showing videos of rebellions is more effective because it immediately dismantles the concept of the machine animal that we have internalized: acts of rebellion speak for themselves, or rather, allow us to “give them their word”³¹.

Vulnerability

Showing what is kept hidden has its importance, but each case must be evaluated individually, also considering that the activism referred to above involves people who, walking down the street, find themselves faced with an unexpected scenario.
I have met people who, just at the word blood, felt trauma rising to the surface.
Showing gory videos on the street not only destroys essential communication from non-human animals, but also ignores the consent of those who, for whatever reason, cannot see certain images.

Destroying a person’s consent on such sensitive topics can lead to them being sick for days or more, and the act of showing gory videos is seen as violence in itself, and in the end will not have been decisive in “convincing” them anyway. The fact that some people claim to be instantly changed by the sight of certain images does not mean that it works with all people. The information that is provided can perhaps be seen as helping, but it will not be decisive. It is not what is or is not shown that is crucial, but the journey of the person in front of us.

The topic of violence in our society is a sensitive one, and it must be accepted that some people are unable or unwilling to see certain images, and should never be forced to do so. Showing gory videos on the street with ever larger screens is a dangerous imposition, as well as useless to the cause.

The debate on speciesism does not need these images: if a person wants to question themselves, they will do so regardless of the videos they watch.

Self-celebration

Another thing I’ve noticed in my years as an activist is that in the vegan animalism environment there is a tendency to idolize certain people or groups. There are dinners, events, and organized meetings where people congratulate themselves on their work and discuss how the road to vegan is always open and fast.
With the push of social networks, it is now easy to build real personas through veganism, feeding their egos with videos or long philosophical posts. Someə of them have even managed to make money or gain “fame”.

The campaign of veganization is carried on by maxims such as “save animals, don’t eat them” or “by going vegan you save 200 animals a year” and so on, which once again shift the focus from non-human animals to us. The human species has learned so well to colonize and take over what doesn’t belong to it that it also takes over the struggles of others, putting itself on the front lines, not as a support but as the main agent, and tries to make the ordinary vegan person feel like a hero to be esteemed who is saving defenseless beings, forgetting the ultimate goal.
Some people have made being “vegan” their personality, building an image to earn money and fame as an entrepreneur.
It almost seems as if veganism is often fetishized to create an image and earn money and/or fame (whether within a small group or a larger one).

Some people who cross the line of legality³² often feel the need to talk about it because these things make people feel strong, powerful, useful, and create myths. The role of “savior” is internalized by many people and the act of physically helping someone in need is unknowingly used as fuel for the ego.
Often those who play the role of the savior have a high level of masculinity in them, in fact the role is often (though not always) embodied by cissexual males³³.

Pacifism

I think this is the hottest topic that often divides people into two poles: those who believe that violence is always wrong and that change should be achieved through reform of laws, and those who believe that violence is the only way to concretely help those who are in a situation of oppression.

The concepts of non-violence and violence are always drastically divided between black and white, right and wrong. They are not seen as two means to be used to achieve a certain end, but as two irreversible paths, I dare say two ideologies.

Without prejudice to the fact that I consider non-violence and violence as two different means to be used according to circumstances, and without getting too deep into the meaning of “violence” or the supposed economic violence attributed to the sabotage of an object (such as an animal transport truck), I would like to point out that those who speak of pacifism often come from a position of privilege.

Violence has always been used by oppressed groups towards the groups that oppressed them. Non-human animals imprisoned in places of detention continually resort to violence to resist and rebel, but their actions are ignored and silenced even by the very people who theoretically support their struggle. Silencing also occurs by carrying forward the idea that sabotaging the means and places of their exploitation is wrong. This is also a common speciesist thought in the vegan milieu. If there were, for example, human children in those places, the sabotage actions would be justified and supported by the majority.
This denotes that in this movement (but in general in our society) it is not the use of violence itself but for whom it is used that is relevant.

Violence is a means of liberation and acts of sabotage can be used to spark important debates. Therefore, we are not talking about gratuitous and cruel violence towards innocents, but violence used with knowledge, which does not directly target people but their ideologies and devices (physical and otherwise) of oppression.
It is always easy to advocate non-violence and pacifism when we are not the direct victims and are therefore in a situation of privilege.

Reformist campaigns

Asking the state to “improve” farms or the conditions of those who live on them is to come to terms with the oppressors of nonhuman animals.
Lobbying and legal campaigns in general can help when combined with other types of action and when aimed at the immediate dismantling of certain oppressive dynamics¹¹. Calling for better conditions for animals in slaughterhouses and factory farms is essentially going around the problem by reinforcing the speciesism that keeps them imprisoned.

The exploitation of non-human animals is one of the main pillars of our economy and without it the system would collapse. State institutions have no interest in dismantling speciesism, but in maintaining it.

Apoliticality

Many activism groups self-describe as “apolitical.” But what does it mean to be apolitical?

The dictionary gives the following definition: “Who is estranged from politics, who does not profess or adhere to any political faith or opinion.”

Still, I find it very hard to believe that there is a person without a political opinion.
Street activism is itself an expression of political opinion. When we talk about politics, we are not necessarily referring to the parties that those people we call “politicians” belong to, but to a whole range of ideas, values, and opinions one has about our society. In fact, veganism and antispecism cannot be apolitical because they are born in political contexts and are fed by political ideas.

Defining oneself as apolitical is dangerous and ambiguous because it opens the door to a number of groups and people who, for example, exploit veganism to grab votes and people in party politics, perhaps launching campaigns to protect endangered animals in the territory¹¹².

I once heard someone say “I don’t care if a person who saves animals declares themselves a fascist or not, the important thing is that they save them”.

It is important that the space within a group remains as safe as possible for everyone, and prioritizing one fight over another, leaving room for individuals to spread messages of hate, endangers the safety and emotional stability of the individuals in the group, as well as criticizing their diversity.
Apolitical groups are a contradiction, and often apoliticality in these groups is coupled with the concept of inclusivity. Inclusivity, generally, is seen with a positive meaning, but in these contexts it takes an unhealthy form and includes characters who, for example, have xenophobic and sexist political ideas and who are given the freedom to be part of groups in which there will be people who will suffer from their presence.

Conclusion

Finding solutions to certain problems is never easy. Every person is different and has different needs and stories and it would be presumptuous to think that we have a one-size-fits-all solution for all.
But what I am sure is important and healthy to do is to focus on communication: be open to criticism, accept failure, destroy know-it-alls and egocentrism in our minds, create space for constructive debates etc… Comparing ourselves with other people (vegan activists and not vegan people) makes the road to eventual solutions more possible.

Developing a critical spirit is crucial, especially in contexts where some stronger personalities overpower less strong ones making them believe that their way of operating is better.

 

Taro Colocasia

 

Notes:

1) Intersectionality is a term coined by Black feminist Kimberlé Crenshaw in the late 1980s and analyzes the ways in which systems of inequality based on gender, race, ethnicity, sexual orientation, gender identity, disability, class, and other forms of discrimination intersect to create unique dynamics and effects. Forms of inequality stratify and reinforce each other and thus must be analyzed and addressed simultaneously to prevent one from reinforcing another.

2) When I talk about human liberation, I am not only referring to liberation from the economic system, but also from other human constructs, such as gender and race.

3) A very interesting text: How do we learn gender?

11) See Hambach: A thousand-year-old forest transformed into a coal industry. [Content in italian]

12) This is the case of the Rebel Cows in Liguria (https://vimeo.com/221235876).

13) See the statistics reported here: Medindia: World Population Clock.

21) Large-scale distribution is responsible for 15% of the total amount of food wasted (Estimates of food thrown away in Italy and the world). Here is an analysis conducted on FAO data: Almost 1 billion tons of food in the bin. [Both contents in italian]

22) Huge slaughterhouses like the one of the Pini group in Spain continue to be built and to earn the titles of “biggest slaughterhouses in Europe/world”.

23) Years ago someone also spoke of “reverse psychology”.

31) In this regard I strongly suggest to read the stories of rebellious animals collected here: https://resistenzanimale.noblogs.org/

32) Here we refer to direct actions, such as the liberation of non-humans from farms or sabotage of the means functional to their exploitation.

33) Regarding the connection between masculinity and “savior syndrome”, I recommend reading this text: Patriarchy and speciesism.

111) See Green Hill: fragments of a story of liberation [Content in italian]

112) For more: Know them to isolate them, isolate them to eliminate them. [Content in italian]

Recommended texts

Brian A.D., Liberazione Animale e Rivoluzione Sociale;

Steven B., Liberazione totale. La rivoluzione del 21° secolo, Ortica Editrice, 2017;

Sarat C., Animali in rivolta. Confini, resistenza e solidarietà umana, Mimesis, 2017;

Massimo F., Questioni di specie, Elèuthera, 2017;

Gianfranco M, Raffaella C., Benedetta P, Dalla predazione al dominio. La guerra contro gli animali, Cortina libreria Milano, 2017;

Carol J. A., Carne da macello. La politica sessuale della carne, Vanda Edizioni, 2020;

Aph K, Syl K, Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero, Vanda Edizioni, 2020;

Rasmus S., Manifesto Queer Vegan, Ortica Editrice, 2014.